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Il responsabile delle risorse umane

Pubblicato il 3 dicembre 2010 da Giovanna D’Ignazio


Il responsabile delle risorse umane

Tratto dall’omonimo romanzo di Abraham B. Yehoushua, il film di Eran Riklis ha ottenuto importanti riconoscimenti presso l’Israel Ophir Awards e il festival di Locarno (premio del pubblico), ed è candidato per l’Oscar 2011.
In una Gerusalemme eletta a simbolo del ricco occidente (nonostante la sua dislocazione orientale) le contraddizioni della serializzata società globale emergono ancora più evidenti, ma ignorate dalla massa, indifferente tanto alla morte quanto alla vita. Una società dove pane e cadaveri sono prodotti in serie, e vita e morte si intrecciano nell’insensatezza assurda della modularità (il flusso delle notizie televisive e ogni nuovo attentato che replica il precedente). La morte (e la vita) è motivo di profonda riflessione solo quando colpisce il singolo individuo, che tenta di sfuggire alle problematiche che il lutto (in questo caso collettivo, dell’azienda) comporta. È ciò che fa il responsabile delle risorse umane di un importante panificio di Gerusalemme, quando riceve la minaccia di un imminente articolo giornalistico diffamante: un quotidiano locale intende accusare la ditta di scarsa umanità verso il personale, perché nessuno si è accorto della prolungata assenza di un’addetta alle pulizie rumena, morta in uno dei tanti attentati terroristici kamikaze. Per evitare lo scandalo, l’uomo tenta di risolvere il problema velocemente, scrivendo una lettera di scuse per la “disattenzione”, della quale però il panificio non si prende la responsabilità. Convinto di aver liquidato la questione, scopre che l’azienda dichiara di assumersi le sue responsabilità facendo ricadere la colpa su di lui. Capro espiatorio, non privo di colpe (perché nessuno lo è), l’uomo tenta inutilmente di sottrarsi al compito di restituire la salma della donna alla famiglia e pagare i funerali a nome della ditta.
Si profila, così, un viaggio che si rivela un ritorno alle origini, ad un’ epoca pre-storica, dove il pane si fa in casa e la morte è accolta nella vita collettiva con l’adeguata sacralità, dove il rito ha ancora un senso per una popolazione arcaica incontaminata dalla globalizzazione e della produzione in serie. È nel confronto con l’alterità (la Romania con le sue città fatiscenti, i suoi villaggi arcaici e i relativi abitanti) che il protagonista sonda la propria identità come padre e uomo-medio, perfetto rappresentante di quello che sembra essere il più florido presente storico e economico. Emerge lo scollamento dell’epoca attuale dal suo passato e dal suo futuro. La situazione privata del responsabile delle risorse umane corrisponde a quella lavorativa. Il rapporto con i suoi figli è emblematico dell’incapacità di comunicare con il futuro, perché non si ha consapevolezza del passato e dei suoi morti (della cui responsabilità nessuno vuol sapere nulla). La morte è accettabile nella serializzazione, che però comporta anche la serializzazione della vita (la catena di montaggio del pane, corpo di Cristo, in una terra dov’è nato e ripudiato) trasformando definitivamente l’uomo (vivo o morto che sia) in merce. Vita e morte si identificano in un unico processo seriale, che mercifica l’intera esistenza (di contro si veda il custode dell’obitorio, e la sua affezione morbosa per i cadaveri senza identità che “gli mancano” quando vengono riconosciuti e riportati ai famigliari). La vita/morte come merce indifferenziata è l’amara verità che si tenta di seppellire nell’inconscio collettivo, e che si impone al responsabile delle risorse umane, il quale si rende conto di non poterle sfuggire. Sfuggire le responsabilità del passato comporta il tradimento delle promesse fatte per il futuro (il protagonista non rispetta mai le promesse che fa ai suoi figli). In questo presente-assente sono proprio i figli a implorare i genitori di affrontare il passato (i suoi defunti) e le responsabilità che questo comporta.
Il protagonista parte con l’intenzione di liberarsi subito dell’incomodo (come chiarisce: “Il problema è che sono responsabile di un corpo di cui non riesco a sbarazzarmi”) incappando in una serie di ostacoli che di tappa in tappa lo costringono a prendere coscienza dell’importanza di questa (e di ogni) morte, senza la quale (coscienza) non è possibile comunicare con i figli (e con il futuro). Il figlio quattordicenne della rumena vive tra ruderi di periferia, abbandonato a se stesso, e pretende il ricongiungimento con il passato: il corpo deve essere restituito alla nonna che vive a mille chilometri di distanza. Il viaggio muove dalla città contemporanea, passando per le decadenti metropoli rumene, sino ad arrivare in un luogo che si ostina a vivere in un’epoca passata, i cui punti di riferimento sembrano segnare la via che il presente ha bisogno di riscoprire per ricongiungersi con i suoi figli. Il protagonista decide dunque di ricondurre il corpo alla nonna (anello di congiunzione tra oriente e occidente, madonna/madre atavica e ripudiata dalla stessa figlia, morta per essere fuggita in un mondo nel quale non avrebbe potuto integrarsi) che però percepisce l’inutilità di un gesto – la restituzione del cadavere - come inautentico (quando chiede se la figlia era felice, si scopre che nessuno ha indagato in tal senso, che qualcuno a cui non interessava della vita di questa donna è stato costretto a interessarsi della sua morte per esigenze aziendali). Dramma splendidamente raccontato con poetici toni di spensieratezza (ben sottolineati da una bella colonna sonora e da una messa in scena semplice esaltata da una fotografia nitida, ma non patinata) da un regista che suggerisce la necessità di farsi carico delle responsabilità individuali rispetto all’intera umanità che il mercato ha etichettato sotto il nome commercialmente accettabile di “risorse umane”.


CAST & CREDITS

(The Human Resources Manager); Regia: Eran Riklis; sceneggiatura: Noah Stollman; fotografia: Rainer Klausmann; montaggio: Tova Ascher; musica: Cyril Morin; interpreti: Mark Ivanir (il responsabile delle risorse umane); Guri Alfi (il giornalista); Noah Silver (il figlio della rumena); Rovina Cambos (la console); Julian Nargulesco (il vice console); Bogdan Stanoevitch (l’ex-marito della rumena); produzione: Rabinovitch Foundation for the Arts – cinema project / The Jerusalem Film and Television Fund / Channel 10 / Mitteldeutsche Medienförderung / CNC Romania / ZDF / ARTE; distribuzione: Sacher film; origine:: Israele/Germania/Francia/Romania; durata: 103’.


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