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Il rosso e il blu

Pubblicato il 21 settembre 2012 da Alessandro Izzi
VOTO:


Il rosso e il blu

È fedele alla sua poetica Giuseppe Piccioni.
Ai suoni di grancassa e alle pentole di ferro suonate per gioco dai bambini, lui preferisce un sussurrare tenace e dolce. Ai discorsi preconfezionati dai politicanti di turno, lui oppone balletti delicati di emozioni che stanno tutte, se possibile, in punta di penna.
Della scena non gli interessa tanto quel che sta davanti, ma quello che c’è sotto, quel che non si vede eppur si sente.
La sua poesia la cerca nell’idea che il cinema non sia un dire, ma un tacere, un produrre un vuoto che permetta anche al silenzio di parlare.
In un certo senso la sua macchina è sempre un passo indietro dall’essere regista. La qual cosa lo mette spesso un passo avanti agli altri nell’essere autore.
Il cinema italiano non vanta così tanti talenti di discrezione, di attitudine all’ascolto, di sguardo partecipante.

Anche nell’affrontare un tema come la scuola, Piccioni si mette un passo indietro. Non racconta le cose, non racconta gli edifici e non racconta neanche le persone. Piuttosto racconta quel che c’è in mezzo tra cose, edifici e persone. Racconta quel sottile ambiguo spazio che si riempie di emozioni, di incontri, di scambi, di impressioni.
Per Piccioni la scuola è prima di tutto un teatro di rapporti, un luogo in cui, per un po’, decantano sogni e disillusioni, silenzi e confusioni.
I ragazzi, troppo giovani, troppo vispi, troppo frettolosi di diventare adulti, se ne accorgono appena di quella magia che si consuma tra le mura di una scuola, per questo, nel film, del loro sguardo ce n’è relativamente poco. Sono piuttosto gli adulti che nella scuola tornano, anno dopo anno, a capire meglio, o a volontariamente dimenticare, quanta ansia di incontri, quanta voglia di capirsi, si consuma tra un suono e l’altro di campanella.
Quando allo sguardo dei giovani si concede spazio, infatti, si sceglie lo sguardo eccentrico, di chi sta a margine, di chi dal bordo pista della confusione quotidiana, osserva e capisce un po’ di più perché oltre a vivere è costretto anche a guardarsi vivere. Ed ecco allora la ragazza che si fa filmare mentre piange per la giovinezza che sente già andata via («Guardami, non sarò più bella come ora») o il giovane immigrato che si porta addosso il peso di una condizione border line sin dall’anagrafe (A proposito Ionut Paun è giovane da tenere d’occhio se vorrà continuare a recitare).
Satelliti o meglio ancora stelle comete, i ragazzi sono di passaggio nel piano del racconto, come, del resto, nella vita vera, attraversano la scuola per lasciarci dentro solo l’ombra di un ricordo: banchi vuoti e il suono distante di un’allegra confusione.

Non è un film corale, Il rosso e il blu, ma è un film di tante facce. Alcune lasciano il segno più di altre. Alcune sbiadiscono in fretta, altre restano anche dopo i titoli di coda. Non è neanche un film realistico, condito com’è di tracce di surrealtà talvolta felici. Non è un film psicologico, né un film di rimpianti.
Racconta piuttosto la vita di tre professori (e qualche allegra macchietta di contorno) che vivono tre diversi livelli della loro professione e tre diverse temperature dei loro ideali. Racconta il loro stare con i ragazzi, il loro scoprire che, malgrado tutto, la loro è una professione del dare e del portare. E nel farlo scopre che, anche se i libri mancano, le lavagne latitano, la carta igienica è contingentata, il solo fatto che si stia insieme è già esperienza, è già incontro è già insegnamento. Perché è proprio dei ragazzi imparare ed è lavoro dei docenti non smettere mai di imparare a loro volta.
Non è perfetto Il rosso e il blu. Alterna ad episodi felici, altri meno pregnanti. Scrive benissimo (complici gli attori) la storia della preside e del ragazzo abbandonato dalla madre e si concede il lusso del ritmo perfetto del professor Herlitzka che si divide tra disillusione e cinismo, ma poi non mette bene a fuoco segmenti che sembravano importanti (la sola storia con protagonisti i ragazzi). Parte allegra con la voce fuori campo che è un po’ un vezzo del cinema italiano che si vuole giovane e la abbandona a mezza strada senza un perché, senza che il cerchio si chiuda, senza che nessuno ne prenda il testimone.
Però è un film delicato e pulito e per questo va, con tenacia, difeso.


CAST & CREDITS

(Il rosso e il blu); Regia: Giuseppe Piccioni; sceneggiatura: Giuseppe Piccioni, Francesca Manieri; fotografia: Roberto Cimatti; montaggio: Esmeralda Calabria; interpreti: Margherita Buy, Riccardo Scamarcio, Roberto Herlitzka, Silvia d’Amico, Davide Giordano, Nina Torresi, Lucia Mascino, Gene Gnocchi, Ionut Paun; produzione: Bianca Film; in collaborazione con Rai Cinema; distribuzione: Teodora Film; origine: Italia 2012; durata: 98’


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