IL SIGNORE DEGLI ANELLI: IL RITORNO DEL RE

Con mossa geniale Peter Jackson introduce il “suo” Ritorno del re con un flashback (come Le due torri prendeva l’avvio da una rêverie di Frodo sulla presunta morte di Gandalf) che riassume la lunga e funesta liaison di Smeagol con l’anello, la cui sola apparizione trasforma una idillica, hobbitiana gita lacustre in un subitaneo incubo di avidità e violenza. In sintesi, insomma, il percorso stesso della trilogia dalla incantata felicità domestica della contea ai territori oscuri e disossati del male, dalla levità sovrana del passo elfico alle massive avanzate delle orde di Sauron. Poi l’ultima parte del viaggio può andare a snodarsi, mettendo alla prova come mai prima le capacità di controllo polifonico di Jackson, che deve tenere salda in pugno un’azione ormai ramificantesi in tranche narrative sempre più fitte, intorno alla cruciale penetrazione in Mordor di Frodo e compagnia, sui quali la malsana influenza dell’anello raggiunge l’acme (e con lei la natura jagesca di Gollum). C’è da faticare, allora: correre di qua e di là, da Rohan a Gondor, dai sentieri dei morti al cancello nero; cantare gli ultimi sussulti di un potere morente mentre si addensano rombando le nubi della battaglia; inanellare scene madri e perorazioni definitive; portare a conclusione tutti i nodi ideologici, le relazioni e i conflitti che innervano la grande visione tolkeniana; orchestrare, alfine, una prolungata cerimonia degli addii. Non c’è che rimanere ammirati dalla baldanzosa sapienza con cui Peter da Wellington porta a termine il compito sfiancante (anche se all’extended version - qui più che mai essenziale - si dovrà rimandare per una più esatta valutazione complessiva), non dimenticando al solito di impreziosire il dettato romanzesco con una miriade di invenzioni autonome: citiamo a caso la visione di Arwen (sospesa tra il diafano autunno celtico e l’energia rinnovata degli uomini) nel bosco o la plastica potenza dell’arrivo di Gandalf e Pipino a Minas Tirith, i fiori lanciati ai cavalieri gondoriani che vanno senza speranza a riconquistare Osgiliath o il senso di dissoluzione della canzone di Pipino che accompagna la cavalcata suicida, la fiamma in cui s’immola Denethor che va a perdersi nel grande fuoco della battaglia o l’imperdibile confronto tra Legolas e l’Olifante, senza dimenticare chicche macabre come il lancio via catapulta di teste mozzate o i mostroni alla Harryausen che corredano l’esercito sauroniano. Ma è soprattutto nei particolari che risplende la sapienza e l’amore infinito di Jackson per la sua materia: basti pensare al trattamento del sonoro, che svaria per innumerevoli sfumature di degradazione dai sovrannaturali sussurri degli elfi agli stridii orrendi delle bestie volanti che trasportano i Nazgul; o alla feconda caccia alle rime interne che ricostruiscano filmicamente la struttura tolkeniana (una per tutte, le parallele ambasce di Sam e Pipino alle prese coi “non morti” Frodo e Faramir). Quando poi viene il tempo di chiudere i conti, Jackson-Boyens-Walsh devono obbligatoriamente (onde evitare un eccessivo anticlimax) sfrondare l’odissea di ritorno degli hobbit alla Contea. Eppure, anche in questo caso, il mesto ritrovarsi dei quattro eroi tra i vecchi compatrioti indifferenti restituisce perfettamente il senso di stanchezza che non può non seguire i clangori del trionfo. Jackson si è assunto gli onori e gli oneri dell’opera somma, scommettendo sulla fedeltà e la resistenza spettatoriale. Ha vinto, col suo gigantismo fantasmagorico, con l’umile consapevolezza del servitore innervata dall’immensa presunzione del genio. Con la saggezza di colui che sa misurare distanze inconcepibili per l’occhio umano per poi farci risvegliare davanti a quel caminetto da cui non ci siamo mai spostati. Ovvero tra quel mare sconfinato che verso Ovest porta alle isole dell’immortalità e quella porta rotonda di Hobbiville cui spetta il compito di congedarci. Grati, commossi.
[gennaio 2004]
Cast & credits:
Regia: Peter Jackson; sceneggiatura: Fran Wash, Philippa Boyens, Peter Jackson dal romanzo di J. R. R. Tolkien; fotografia: Andrew Lesnie; montaggio: Michael Horton, Jabez Olssen; musica: Howard Shore; scenografia: Grant Major; costumi: Ngila Dickson, Richard Taylor; trucchi speciali, creature, armature e miniature: Richard Taylor; supervisione effetti visivi: Jim Rygiel; interpreti: Elijah Wood, Ian McKellen, Liv Tyler, Viggo Mortensen, Sean Astin, Cate Blanchett, John Rhys-Davies, Bernard Hill, Billy Boyd, Dominic Monaghan, Orlando Bloom, Hugo Weaving, Miranda Otto, David Wenham, Andy Serkis, Karl Urban, John Noble; produzione: New Line Cinema; origine: USA, Nuova Zelanda 2003; distribuzione: Medusa; durata: 200’.
