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Il sogno nel cinema di oggi

Pubblicato il 10 aprile 2004 da Giovanna Quercia


Il sogno nel cinema di oggi

Abbiamo deciso di dedicare al sogno questo nuovo speciale. Quel sogno che è il cinema intero, ma anche, quei sogni di cui l’immagine stessa viene intessuta e che noi condividiamo producendone di nuovi. Un buon film, soprattutto se fruito nel suo luogo deputato, risveglia i desideri sopiti, stimola le capacità d’immaginazione e può rappresentare, in definitiva, la proiezione dei nostri sogni a occhi aperti. Ma il cinema contemporaneo sembra dare poco credito a questa risorsa primordiale del cinema, una delle sue principali chiavi di lettura, per la molteplicità dei livelli, di cui, assieme all’immagine in movimento, formano una lega inestricabile.
Negli articoli proposti, inoltre, vengono analizzati aspetti anche contrapposti del fenomeno, come il meccanismo del gioco sogno/realtà all’interno di tre film che negli ultimissimi anni ne hanno tematizzato le movenze in maniera fortemente connotata: Mulholland Drive, Eyes Wide Shut, Vanilla Sky.
Perché un mezzo di comunicazione possa aspirare a rappresentare i sogni collettivi, o anche soltanto i desideri personali, deve possedere qualcosa di monumentale, un’alterità dal mondo reale che lo renda quasi irraggiungibile. Dev’essere un po’ come una statua di cui possiamo toccare solo i piedi stando sulle punte dei nostri. Ma le immagini entro le quali i sogni sembrano soffocare si dispongono nel senso di una apparente urgenza di vitalità frenetica, esteriore e socializzatrice. La televisione, medium domestico, collocato quasi a terra, raggiungibile con il minimo sforzo e manovrabile con dei tasti anche a distanza, sembra davvero non avere nessuna di queste caratteristiche. Se è vero che il mezzo è messaggio, allora il piccolo schermo non si presta davvero a rappresentare i nostri sogni: la tv dei Reality come mondo parallelo deformato, non produce sogni ma ne possiede la consistenza. Forse, alla base di tutto ci sono da considerare gli effetti di una contingenza storica fitta e dolorosa. L’11 settembre è stato il momento in cui l’incubo peggiore della coscienza ha rotto gli argini delle mura del sonno per tracimare nella Realtà rassicurante e quotidiana del mondo diurno. Se si stabilisce questo evento come termine di partenza, si può ben vedere, all’interno dei generi orrorifici delle produzioni hollywoodiane, un impoverimento che sembra sempre più esaurirsi nella riproduzione di stilemi e situazioni, senza ricercare l’eversione e la decostruzione del mondo di cui siamo parte. Di qui, quindi, l’impoverimento della dimensione metalinguistica del sogno all’interno del film, come incubo all’interno di un altro incubo.

[aprile 2004]


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