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IN GOOD COMPANY

Pubblicato il 18 febbraio 2004 da Antonio Pezzuto


IN GOOD COMPANY

Che le aziende americane funzionino come centro globale per gli affetti e le amicizie dei loro dipendenti è cosa nota ormai da tempo e da tempo analizzata dal cinema (e, stranamente, soprattutto da quello di più stretta derivazione teatrale). A questo Paul Weitz, con In good company, presentato in concorso, poco aggiunge. Ed aggiunge poco anche quando parla dei giovani manager rampanti che se non sanno cosa dire usano la parola magica “sinergia” (piccola nota: c’è un involontario senso dell’umorismo dato che nel catalogo la presentazione al Festival scritta dal direttore Dieter Kosslick, si intitola, appunto: “sinergie”). Che poi, sopra il lavoro, per gli americani di tutte le età, ci sia la famiglia, anche di questo se ne è fin troppo parlato. Nonostante ciò, In good company resta un film gradevole, più che per quello che dice, per come lo dice, ed è piacevole grazie anche alla presenza degli attori, in primis Dennis Quaid nel ruolo di un manager ormai un po’ troppo attempato, ha cinquantuno anni, che si vede soffiare il posto di advertising manager del prestigioso periodico Sports America, dal giovane ed inesperto rampante Topher Grace, diventato il suo nuovo capo. Nel gioco entra in scena la figlia di Quaid, Scarlett Johansson, e tutto diventa terribilmente complicato. Quando l’alta direzione cambia, i primi a farne le spese sono sempre i dipendenti. I nuovi capi chiedono, altra parola d’ordine, il venti per cento di incremento negli affari. A tal scopo, per prima cosa riducono le spese licenziando chi sta ai piani bassi e, contemporaneamente, si aumentano gli stipendi. Che poi anche chi è dirigente, in realtà si scopre essere trattato come un semplice “operaio” è conseguenza dei tempi che viviamo. Un tempo una storia del genere sarebbe stata un bello spunto per parlare del sistema economico che permette e favorisce situazioni come questa, delle distorsioni del capitalismo e tutte queste belle cose. In epoca di dominio teocon tutto questo è molto più sfumato, e si riduce a una semplice questione di scelte individuali. E’ da vetero-comunisti parlare di appartenenza a un ceto sociale o di nuove dinamiche della lotta di classe. I giovani messi in scena da Paul Weity sono quegli stessi giovani (oggi cresciuti ed usciti dall’Università) che lo stesso regista metteva in scena agli inizi del nuovo secolo, in film come American Pie. I loro valori sono cambiati di poco, e se c’era qualcosa da aspettarsi da loro non erano certamente cose belle. E infatti cose belle non lo sono state.

[febbraio 2004]

regia: Paul Weitz sceneggiatura: Paul Weitz fotografia: Remi Adefarasin montaggio: Myron I. Kerstein musiche: Stephen Trask interpreti: Dennis Quaid, Topher Grace, Scarlett Johansson, Marg Helgenberger, Malcolm McDowell produzione: Depth Of Field distribuzione: Bim durata: 109’ origine: Usa 2004

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