In memoria di me

Da una famiglia rinchiusa nello spazio vitale, ma concentrazionario della propria stessa casa, all’anima fatta prigioniera dal corpo, dilaniata dai dubbi e dalle incertezze che vivono tra l’aspirazione all’infinito e i bisogni della vita mondana. Si restringe e si innalza lo sguardo di Saverio Costanzo tra Private ed In memoria di me. Si lega a quel Requiem per L’Io (per il me di cui si deve solo conservare lontana memoria) che è sempre implicito ad una scelta di carattere ascetico, alla consacrazione della propria vita ad una vocazione religiosa o filosofica.
Rispetto a Private, l’esordio folgorante, forse un tantino sopravvalutato, ma comunque importante del regista italiano, In memoria di me dimostra un controllo formale e una cura stilistica di gran lunga superiori. La macchina da presa, sempre in movimento nell’algida geometria degli interni (anche questo è un film che vive e respira nel chiuso, nella negazione dello spazio aperto e nel serrarsi, intorno all’anima e allo sguardo, di pareti impenetrabili), si svincola dai piani fissi che erano la cifra stilistica vincente del rigore del film precedente e sembra rincorrere, quasi, insospettabili echi alla Resnais.
Il movimento mai convulso dello sguardo certifica, quindi, nello spazio e nella geometria piana imposta dall’ordine monastico, coi suoi tempi prestabiliti e coi suoi spazi attentamente definiti, l’affanno di una ricerca interiore inesausta, il bisogno di approdare ad un qualche tipo di risposta che possa far tacere ogni ansia ed indichi la direzione di una pacifica, conclusiva contemplazione dell’altro e dell’Altrove.
Bisogno che sembra urtare contro le rigide regole di un mondo (quel vero e proprio microcosmo che è il monastero) che fa della sua quasi totale impermeabilità con la realtà esterna un vero e proprio sistema di vita dalle caratteristiche quasi paramilitari. Sicché ben presto il padre superiore e i monaci anziani finiscono per diventare, nel film, i perfetti corrispondenti dei soldati che facevano prigioniera un’intera famiglia in Private. Sembra quasi che, ovunque vada lo sguardo del regista, le ossessioni di fondo restino sempre le stesse, immutate ed immutabili e che il mondo altro non sia che una precisa allegoria composta in egual misura di diavoli e dannati condannati ai loro ruoli da un fato più alto ed imperscrutabile.
Rispetto a Private, nel nuovo film di Costanzo aumentano i chiaroscuri, i contrasti di luce e di colore nel piano dell’inquadratura. L’immagine ambisce a raggiungere un risalto decisamente pittorico e anche i riferimenti iconografici impliciti ai singoli fotogrammi si complicano, abbandonano la logica di una presa diretta asciutta e quasi televisiva e si perdono in una foresta si simboli religiosi di cui sarebbe impossibile tentare di dare qui conto.
Ovunque si palesano i segni di un’ambizione autoriale che corteggia i fantasmi di Bresson, di Tarkovski o, addirittura, di Dreyer mentre echi della grande letteratura (Dostoevski e la figura del Grande Inquisitore) si depositano come polvere tra le pieghe di una narrazione ostica nella sua palese linearità da thriller dell’anima.
Ma le citazioni, volontarie o meno che siano, possono spesso significare la morte dell’anima più vera di un film. Costanzo, cui non si può negare coraggio e una propria identità d’autore nel panorama non certo brillante del cinema italiano contemporaneo, sembra dimenticare che per raccontare il dubbio non basta il rigore, ma occorre essere, noi per primi, dubbiosi. Il regista, invece, col suo freddo distacco, sembra spesso svolgere un compito a tavolino, mentre nel piano del proprio racconto, infinite piste si accavallano a ricordagli, troppo spesso, come sia infinita l’assoluta interpretabilità del Reale. E anche noi restiamo fuori, a contemplare di lontano, un dramma interiore che è più detto che davvero sentito.
(In memoria di me); Regia e sceneggiatura: Saverio Costanzo; fotografia: Mario Amura; montaggio: Francesca Calvelli; musica: Alter Ego; interpreti: Christo Jivkov (Andrea), Marco Baliani (Frate), André Hennicke (Padre Superiore), Filippo Timi (Zanna), Fausto Russo Alesi (Panella), Stefano Antonucci (Lodovici), Ben Pace (Rossi), Matteo D’Arienzo (De Rienzo), Milutin Dapcevic (Wagner); produzione: Offside, Les Films des Tournelles; distribuzione: Medusa; origine: Italia, 2006; durata: 113’; webinfo: Sito Medusa
