In the Name of... - Concorso

Comincia bene, molto bene il concorso della Berlinale con un film della regista Malgoska Szumowska che l’anno scorso si era fatta apprezzare nel film di produzione francese Elles, con Juliette Binoche, ospitato nella sezione Panorama e distrattamente transitato anche in Italia nell’autunno scorso. Quest’anno ha fatto il salto nel tabellone principale e decisamente lo merita. Il tema è di quelli forti perché la regista e lo sceneggiatore (che è anche l’ottimo direttore della fotografia) si interrogano in un colpo solo su due argomenti ad alta temperatura scandalistica: il celibato e l’omosessualità dei preti. Anche se poi In nome del... sta lodevolmente alla larga da qualsivoglia scandalismo, essendo in primo luogo di un film sulla solitudine.
Ambientato in una Polonia rurale, il film ruota intorno a una comunità di ragazzi difficili, una specie di casa-famiglia, dove i ragazzi, pur inclini a dinamiche primitive da caserma, devono, almeno per parte della giornata sgobbare duro. E guai a sgarrare, perché il gradino successivo nella discesa della scala sociale è il riformatorio. Questa comunità, di cui in qualche misura fanno parte anche alcune famiglie dei dintorni, è governata da uno strano duo: il maestro Michal, ex seminarista, che ha cambiato strada perché si è innamorato di una donna (Ewa!) e il prete Adam (!!), un prete molto operaio, molto solidale, molto casual, che con cuffie e I-Pod sublima e si sfinisce ogni giorno a fare jogging nei boschi di betulle, un prete che guarda i ragazzi in modo strano, che ha avuto problemi di alcool, che è stato trasferito da un’altra sede perché qualcosa non era andato nel verso giusto. Il film, montato con grande perizia, riesce attraverso sequenze mediamente piuttosto brevi a delineare un complesso affresco relazionale: i ragazzi fra loro, i ragazzi con il maestro, i ragazzi con il prete, Adam e Ewa (distrutta dalla noia e fedele al suo nome ci prova anche con lui), ma soprattutto Adam con sé stesso, con le sue pulsioni, con il suo disperato bisogno di amore, affetto, ascolto – un ascolto che gli viene negato dal confessore, in una della scene più amare ed esilaranti del film, quando entra in chiesa proprio nel momento in cui c’è una signora con l’aspirapolvere che candidamente lo caccia dicendo: “Il prete non riceve, è ora di pulizie”; un ascolto che gli viene negato anche dalla sorella, via skype, alla quale pure confessa, fra i fumi dell’alcol, di non essere un pedofilo ma di essere una checca. La robusta sceneggiatura trova un plausibile corrispettivo nelle diverse modalità con cui si muove la macchina da presa: steady-cam nelle scene di gruppo, a significare la completa anarchia relazionale, movimenti più misurati, ponderati, quando di scena è Adam con i suoi dubbi e con la sua solitudine. Tranne in un caso, in quella che resta forse la scena più forte del film, allorché Adam, completamente ubriaco, si scatena a suon di rock in un ballo forsennato nella propria stanza, abbracciando il ritratto di Ratzinger, staccandolo dalla parete. Una scena splendida, che sicuramente farà discutere. E farà discutere parecchio anche il finale; non già la castissima scena d’amore fra Adam e Lukasz, ma quanto segue: nel giardino di un seminario preti e diaconi passeggiano, la macchina da presa vaga in cerca di qualcuno e dopo varie peripezie finalmente lo trova, è Lukasz, vestito da diacono. Alla domanda, rivolta da chi scrive alla regista, di raccontarci le ragioni di questo finale, Szumowska ha risposto che, al termine della scena d’amore, erano stati vagliati molti finali: suicidi, omicidi, infarti etc. etc. Si è riparato su una scelta, a suo dire, suffragata da dati di realtà: molti ragazzi, dopo esperienze siffatte, si fanno preti. Per vergogna? Per avere una sicurezza sociale che altrimenti sarebbe loro preclusa? Perché, con la tonaca addosso, è più facile dissimulare?
(W imie...); Regia: Malgoska Szumowska; sceneggiatura: Malgoska Szumoska, Michal Englert; fotografia: Michal Englert; montaggio: Jacek Drosio; interpreti: Andrzej Chyra (Adam); Mateusz Kosciukiewicz (Lukasz); Maja Ostaszewska (Ewa); Tomasz Schuchardt (Adrian); produzione: Mental Disorder; origine: Polonia, 2013; durata: 102’
