Incontro con Fanny Ardant - Roma 2010
L’incontro con Fanny Ardant, Evento Speciale moderato da Piera Detassis e Mario Sesti, si è svolto in una sala Petrassi gremita, a dimostrazione di quanto l’attrice francese sia ancora amata e apprezzata dal pubblico di appassionati di cinema.
La presenza della Ardant al Festival di Roma è dovuta alla presentazione di un cortometraggio, Chimères absentes, che l’attrice, per la prima volta dietro la macchina da presa, ha scritto, diretto e interpretato.
Il corto è stato girato a Formello, vicino Roma, ed è parte integrante di una serie di brevi film realizzati o in corso di realizzazione, nell’ambito di un progetto sulla tolleranza e il riconoscimento delle diversità delle culture tra le popolazioni europee. Una volta realizzato, l’intero progetto, promosso e sostenuto dal Consiglio d’Europa, sarà composto da 11 film di 12 minuti ciascuno affidato a un regista diverso.
Il titolo esatto della produzione è Then and Now – Beyond Boarders and Differences (Il passato e il presente al di là di frontiere e differenze) e si richiama al rispetto dell’articolo 18 della dichiarazione internazionale dell’ ONU sulla libertà di espressione, di pensiero e di religione. Vista la causale umanitaria dell’iniziativa, la presidente della Organizzazione non governativa Art Of The World, Caterina Von Festenberg, che è la produttrice della serie di corti, ha opportunamente pensato di rivolgersi a Fanny Ardant; nota, oltre che per le sue indimenticabili interpretazioni sul grande schermo, anche per la sua sensibilità culturale e per la sua volteriana avversione verso ogni forma di intolleranza.
Dopo aver ricevuto il primo input da una giusta causa, Fanny Ardant ha poi scelto, in totale indipendenza, di ambientare il suo film all’interno di una comunità rom, un popolo che lei ha sempre amato per la loro idea di libertà e per il desiderio di indipendenza per “raccontare la storia di un uomo libero, di uno che non ha paura perché non ha nulla”.
Non dovrebbe apparire bizzarra questa scelta dell’attrice, già abituata a prese di posizione decise e anticonformistiche, di ambientare il suo cortometraggio, Chimères absentes, nel mondo dei rom.
Lei preferisce ancora chiamarli zingari, perché il suono della parola richiama al concetto romantico di mistero e di libertà.
Il personaggio maschile del film è un giovane di nome Zarko, interpretato da Francesco Montanari. Una figura di rom che rappresenta metaforicamente il desiderio di libertà e di armonia col mondo e insieme il rifiuto delle forme di vita borghesi, incarnate nel burbero e cattivo direttore della scuola elementare del paese.
Emblematica, da questo punto di vista è la scena in cui il giovane rom scagliando un sasso rompe i vetri della finestra della scuola per protestare contro le regole rigide e disumane dei gaggi (i rom chiamano così tutti quelli non fanno parte della loro comunità )che rifiutano il pasto alla piccola Sonictcka perché i genitori non possono pagare la retta della mensa. È una scena questa, situata all’inizio del film, che a noi ha ricordato un triste episodio di cronaca avvenuto poche settimane in un paese del Nord Italia amministrato dalla Lega.
Disgustata da una mentalità gretta dei suoi superiori, nel finale la maestra di musica Amina, Fanny Ardant, decide di lasciare il suo incarico nella scuola e di seguire i rom nei loro spostamenti.
E forse noi spettatori proprio nelle chimere assenze del titolo, possiamo trovare la chiave giusta per comprendere la scelta della Ardant di rappresentare una comunità rom con una visione romantica e utopistica.
È la stessa Ardant a dirci: “Ho voluto che il film fosse come un canto d’amore verso un mondo che adoro. Ho voluto mettere in scena l’utopia. Io ho fatto un cortometraggio di fiction sugli zingari e non un documentario”.
Dobbiamo però, per dovere di cronaca, ricordare il corto circuito che si verificato in sala quando il pubblico si è trovato a dover parlare di un film che tratta, seppure nei modi personali ed evocativi come ha fatto la Ardant, un tema spinoso e conflittuale come la condizione dei rom e il loro rapporto con la popolazione non dei cosiddetti gaggi. Considerando il tenore degli interventi le ragioni estetiche sono state completamente oscurate dal tema di fondo. Dopo alcuni passaggi e tentativi da parte dei due moderatori, di entrare nel merito del discorso filmico, le domande del pubblico sono andate direttamente al cuore della questione rom. “Lei mi deve spiegare perché ai rom piace vivere da parassiti”, è arrivata a chiedere una signora ad Emile, mediatore culturale rappresentante della comunità rom. Emile con molta calma ha ricordato alla signora la persistenza di forti pregiudizi nei confronti dei rom, che è ingiusto generalizzare “perché persone che rubano e che commettono reati ci sono in tutte le comunità”.
Altro intervento stimolante per la discussione è stato quello di un uomo, che lavora negli uffici di un Comune, il quale ha detto che è costretto a sconsigliare ai rom di rivelare la loro origine etnica perché altrimenti nessuno darebbe loro lavoro. Segno inequivocabile di quanto sia forte e diffuso il pregiudizio nei confronti dei rom, e non solo in Italia.
In un quadro così poco rassicurante per la tolleranza e la convivenza tra le genti del continente europeo, l’impegno della Ardant, al di là della qualità del suo film, è da apprezzare come contributo per la lotta contro una delle più odiose forme di pregiudizio. La rappresentante del Consiglio d’Europa, nel presentare la proiezione ha ricordato che Fanny Ardant “con questa sua opera messo la sua faccia per contribuire a cambiare l’immagine pubblica dei rom in questa Europa dove, oggi, è molto difficile farlo.
Il suo film ci parla dei rom e del loro desiderio di venire verso di noi e del muro che trovano davanti a loro nel tentativo di farlo. Da circa mille anni sono arrivati in Europa non sono loro ad aver scelto la povertà e la marginalità, gli è stata imposta”.