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Incontro con Matteo Garrone

Pubblicato il 18 maggio 2012 da Antonio Valerio Spera


Incontro con Matteo Garrone

Oggi, al festival di Cannes, è il giorno di Reality, unico film italiano in concorso. Il regista Matteo Garrone, insieme ai produttori Paolo Del Brocco e Domenico Procacci, agli attori Nando Paone e Loredana Simioli, agli sceneggiatori Massimo Gaudioso, Ugo Chiti e Maurizio Bracci, è arrivato sulla Croisette e ha incontrato la stampa. Il film in sala è stato accolto bene ma sembra non aver avuto consensi unanimi. Qualche giornalista straniero ci ha visto una critica graffiante all’Italia del berlusconismo, altri - dice lo stesso Garrone - "non l’hanno amato molto perché l’hanno trovato poco di denuncia".

Ma lo possiamo ritenere un film politico?

Ognuno lo può interpretare come vuole. Io posso solo dire che nelle nostre premesse volevamo raccontare una storia semplice, popolare, non c’era un intento di denuncia politica, non volevamo neanche scagliarci contro un certo tipo di televisione. Semplicemente nel film seguiamo il personaggio attraverso un viaggio psicologico, in una perdita d’identità verso la follia. All’inizio doveva essere un piccolo film per superare il mio empasse post-Gomorra, così mi sono avventurato con leggerezza per ritrovare il piacere di fare cinema, di divertirmi.

Come ha scelto l’attore protagonista Aniello Arena?

Aniello Arena è in prigione da quasi 20 anni, ha iniziato a fare teatro 12 anni fa alla Compagnia della Fortezza di Armando Punzo, l’ho notato in alcuni spettacoli. Questo è il suo primo film. Lo avevo già scelto per fare Gomorra ma il magistrato non ce l’aveva concesso. Lui, venendo da un modo di lavorare - quello di Armando Punzo - molto vicino al mio non ha avuto grandi problemi, anzi, è riuscito a creare un vero matrimonio con il suo personaggio, soffriva addirittura per lui mentre lo interpretava. Per me Aniello è un incrocio tra Pulcinella e De Niro. Nel film è straordinario, e il suo ruolo era complicatissimo. Credo che un aspetto centrale e di forza del film sia proprio la sua perfomance, perché dà candore e innocenza al protagonista.

Cosa pensa del successo dei reality show in Italia?

A noi non interessava focalizzarci tanto su un programma anziché su un altro. Abbiamo scelto il Grande Fratello, ma avevamo l’intenzione di raccontare la televisione come un Eldorado. Volevamo raccontare l’aspetto illusorio del sogno.

Luciano il protagonista, ricorda molto Pinocchio...

E infatti quando scrivevamo la sceneggiatura avevamo sempre in mente Pinocchio: Luciano in fondo è un Pinocchio moderno. Io volevo raccontare questa storia in forma di fiaba, e la fiaba per me è cartoon, è Pixar. Ecco, per me Reality era un film Pixar. Il rischio era cadere nel grottesco, nel trash, nell’ironia facile nei confronti di certi personaggi, ma ci sono stato attento e ho cercato di evitarlo. In tutti i reparti, dalla fotografia, ai costumi, alla recitazione fino alla musica, volevamo rendere un’atmosfera favolistica astratta ma al contempo realistica. Ci siamo mossi sul labile confine tra realtà e sogno senza perdere la verosimiglianza. La grande scommessa del film era proprio questa.

Nel film si respira una certa atmosfera felliniana...

Mi hanno detto che Reality ha qualcosa di Ginger e Fred, forse è vero, ma io inconsciamente mi sento più vicino al primo Fellini, quello de Lo sceicco bianco per intenderci. E comunque nel film ci vedo anche Bellissima di Visconti e da un punto di vista figurativo Matrimonio all’italiana e L’oro di napoli.

La follia del protagonista è il segno dell’Italia contemporanea?

Non penso sia giusto generalizzare, ho raccontato questa storia e ho seguito questo personaggio, non mi sento di dire che rappresenta tutto il paese, poi ognuno dà la sua lettura.

La casa del Grande Fratello che si vede nel film è quella vera di Cinecittà?

Assolutamente sì, abbiamo avuto una liberatoria da Endemol e abbiamo potuto utilizzarla. Abbiamo dovuto riarredarla e "riempirla" di concorrenti. Per quest’ultimi abbiamo fatto un casting apposito.


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