Indignados
Stephane Hessel è tornato a casa. Berlinese, ebreo, combattente della resistenza, naturalizzato francese, Hessel (nato nel 1917) è l’autore nel 2010 del pamphlet Indignez-vous, dal quale ha preso nome il movimento degli Indignados a cui è intitolato il film di Tony Gatlif, presentato nella sezione “Panorama Special”. Hessel viene citato innumerevoli volte dal regista attraverso inserti, scritte in sovra-impressione o semplicemente tramite le parole pronunciate o gli striscioni sventolati dai manifestanti in giro per l’Europa. Il problema del film nasce tuttavia dall’ambizione del regista di non limitarsi a fornire una documentazione della ribellione soprattutto giovanile contro lo strapotere dell’oligarchia economico-finanziaria in alcuni paesi-chiave di tale ribellione, la Grecia, la Francia e la Spagna, ma di aver voluto costruire intorno a questi eventi una vicenda che, per quanto ispirata a milioni di casi in giro per l’Europa, resta una trama fictional un po’ tirata per i capelli. Si tratta della vicenda di Betty, una profuga africana (non viene detto per tutto il film nemmeno da quale paese venga) che raggiunge faticosamente il bagnasciuga di una spiaggia, dopo che, in quella che forse resta la sequenza più potente di tutto il film (insieme a un’altra nella quale uno straordinario “corteo” di arance precipita in mare, e solo alcune riescono a raggiungere una barca), la macchina da presa ha passato in rassegna, agghiacciante metonimia, decine di scarpe abbandonate, resti di naufraghi che la riva non l’hanno raggiunta mai. La riva di Betty è quella della Grecia, dove – neanche c’è bisogno di dirlo – non sono certamente questi i mesi e gli anni migliori per approdare, talché alla prima occasione Betty si riversa oltre le puntute transenne del porto di Patrasso e arriva in Francia dove va a infoltire la fitta schiera di sans papiers che stazionano sotto i ponti della sopraelevata con le loro tende canadesi, ai quali in una insistita e ultra-brechtiana sovra-impressione Gatlif restituisce i nomi. Ma Betty è anche spettatrice di un lungo volantinaggio assai coreografico punteggiato dallo sbatter di tacchi di una danzatrice di flamenco, dove lo spettatore riconosce fin troppo chiaramente il Gatlif di Gadjo Dilo. Scovata dalle forze dell’ordine viene rispedita in Grecia, giusto in tempo per assistere alle proteste di piazza dei cittadini ellenici esasperati, tentare una seconda fuga, stavolta verso la Spagna per approdare, in pieno maggio 2011, alla grande manifestazione di Madrid e solidarizzare con gli indignados, unirsi alle loro grida, ai loro slogan (la parte “testuale” del film consta quasi esclusivamente di slogan) e ai loro canti, sia pure solo per qualche tratto di strada, perché poi il suo destino di profuga errante tornerà a perseguitarla, in una scena finale che la vede prigioniera di un anonimo parcheggio sotterraneo, dove le sue mani che invano sbattono contro la lamiera in cerca di aiuto giungono utopisticamente a produrre un tamtam che prelude forse ad una futura liberazione. La povera Betty non è solo vittima delle contraddizioni di un mondo infame ma è vittima anche del suo regista che la sbatte da un paese all’altro per fornire una plausibile cornice narrativa al suo film che, dietro i nobilissimi e assolutamente condivisibili obiettivi politici, rivela la propria sostanziale irresolutezza estetica.
Regia, sceneggiatura e scenografia: Tony Gatlif; fotografia: Colin Houben, Sabastien Saadoun; montaggio: Stéphanie Pedelacq; musica: Delphine Mantoulet, Valentin Dahmani; interpreti: Betty (sé stessa); produzione: Princes Production, Parigi; origine: Francia; durata: 88’.