Insyriated

Insyriated, è un film del regista belga, non più giovanissimo (63 anni), di nome Philippe van Leeuw. Il suo secondo, ad essere precisi, ed è stato girato a ben otto da distanza dal suo primo intitolato The Day God Walked Away, mai arrivato in Italia. Il film si svolge tutto all’interno in una casa: le persone non sono a festeggiare un party, ma costituiscono quella che in tedesco si definisce una “Notgemeinschaft”, una comunità obbligata, obbligata per ragioni di forza maggiore a una convivenza coatta in pochi metri quadrati. Una decina di persone in un condominio borghese: un nonno, una madre, tre figli, un cugino, la domestica, una giovane coppia con il figlioletto di pochi mesi, tutti asserragliati (o, come ha detto Alberto Crespi a “Hollywood Party”, “assirragliati, provando a riproporre in italiano, il gioco di parole del titolo inglese) in una casa di un non meglio precisata città siriana. Il capo famiglia è fuori, forse a procacciare roba da mangiare oppure a organizzare una via di fuga, i contatti con l’esterno sono quasi del tutto interrotti, il cellulare non funziona quasi mai. La casa è l’ultima ancora di salvezza, fuori imperversa l’inferno, sotto forma di bombardamenti, di cecchini appostati sul tetto della stessa casa, anche per le scale, sul pianerottolo, si annidano pericoli, come vedremo. La casa è oscurata, con tende, saracinesche, sbarre, la cucina è l’ultima riserva di questa casa, sotto il tavolo della cucina c’è l’ultimo rifugio dell’ultima riserva, quando fuori all’improvviso si sente un boato. Il film parte con il ragazzo della giovane coppia che esce di casa promettendo a moglie e bambino di venirli a riprendere per fuggire, la sera stessa, alla volta del Libano (dove il film peraltro è stato girato). Esce di casa, fa pochi passi e cade a terra colpito alla schiena. Questo fatto rende ancor più drammatica la convivenza coatta perché c’è da decidere se e quando dirlo alla moglie, che non si è accorta di nulla, uno dei problemi ulteriori che la madre Oum Yazan, interpretata dalla bravissima attrice palestinese Hiam Abbass, deve affrontare per provare a tenere sotto controllo questa comunità, di cui lei è la straordinaria, efficientissima coordinatrice. I più giovani, i più ignari tentano di mantenere qualche lacerto di normalità, con il cellulare in mano; e c’è anche un piccolo flirt fra i cugini. Lo scopo è arrivare a fine giornata. Anche se poi la successiva, probabilmente, sarà come la precedente. La macchina da presa ora tallona i personaggi, soprattutto la madre, fornendo un equivalente visivo della claustrofobia che questa situazione ingenera (qualche piano sequenza, ma non ossessivo), ora si sofferma a studiare i volti, quello del nonno ad esempio, volto di antica saggezza, di atavica sofferenza, fra nuvole di fumo. La sceneggiatura, scritta dal regista, è serratissima, e non c’è mai un momento di pausa, un accenno di ripetitività, non era facile, proprio per nulla. Gli attori, con l’eccezione di Juliette Navis che interpreta la domestica sono tutti profughi, quasi tutti siriani. E sono tutti molto bravi. Speriamo, davvero, che Insyriated arrivi in Italia.
(Insyriated). Regia: Philippe van Leeuw sceneggiatura:Philippe van Leeuw; fotografia: Virginie Surdej; montaggio:Gladys Joujou; interpreti: Hiam Abbas (Oum Yazan), Diamand Abou Abboud (Halima), Juliette Navis (Delhani), Mohsen Abbas (Abou Monzer), Moustapha Al Kar (Samir), Alissar Kaghadou (Yara), Ninar Halabi (Aliya), Mohammad Jihad Sleik (Yazan); produzione: Altitude 100 production, Bruxelles, Liaison Cinematographique, Paris, Né à Beyrouth, Beirut, origine: Belgio, Francia, Libano, 2017; durata: 85’.
