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Invasion

Pubblicato il 13 ottobre 2007 da Alessandro Izzi


Invasion

L’invasione degli ultracorpi è l’incubo profondo, inconfessabile ed inestirpabile dell’intera cultura americana. È il suo lato oscuro, fonte di costanti rimozioni inconsce, il legame con paure ancestrali ataviche che vanno ben oltre le metafore ora politiche ora più semplicemente esistenziali che gli sono state cucite addosso col passare dei tempi.
È la cultura dominata dal mito dell’individuo, con un substrato pop letteralmente ossessionato, sin anche nei fumetti, da figure superomistiche destinate all’eccezionalità, che si confronta e scende a patti con la sua immagine riflessa e ribaltata subendone il fascino terribile e disgustoso. È il culto del raro, tanto acclamato in quasi tutto il cinema statunitense, che si oppone alla norma assoluta, ad una realtà in cui si sia davvero tutti uguali e in cui la singola unità diventa un concetto sacrificabile per il bene della collettività.
In un mondo, come quello americano, che ha fatto dell’esaltazione del suo sogno (l’individuo che eccelle e trionfa su tutte le avversità imponendo il proprio Io al mondo che lo circonda), L’Invasione degli ultracorpi rappresenta l’incubo notturno nel quale l’Io si scioglie definitivamente nella massa e diventa, di fatto, indistinguibile da tutto il resto.
Non è un caso che l’invasione abbia luogo di notte, durante il sonno. Come non è un caso che una delle prime scene di questo che è il terzo remake (dopo Ferrara e Kaufman) tratto dal capolavoro romanzesco di Finney si apra con le grida di un bambino che ha avuto degli incubi e da un padre che è stato definitivamente posseduto dalle entità aliene.
La metafora della perdita dell’individualità, della fine dell’Io e del trionfo del Noi è talmente ossessiva ed angosciosa che l’intera cultura americana, ancora oggi a tanti anni di distanza dall’uscita del romanzo, non ha imparato a conviverci. Lo dimostrerebbe abbondantemente il fatto che la produzione di questo remake ha avuto costanti ripensamenti in fase di realizzazione del film. Dopo aver chiamato Hirschbiegel (autore del discutibile La caduta sugli ultimi giorni di Hitler), la Warner, forse un po’ spaventata dal primo risultato, ha, infatti, ritenuto opportuno chiamare un secondo e poi un terzo regista a rigirare e rimontare quasi integralmente la pellicola. Ma sono questi i vani tentativi del SuperEgo sociale di addolcire e ridurre la portata angosciosa di un narrato che ha una tale portata archetipale che qualsiasi intervento si faccia sui film non riesce a sortire effetti “rassicuranti”. Come era avvenuto del resto anche per il piccolo gioiello di Siegel cui la produzione impose un finale consolatorio (con la riscossa degli americani e degli uomini di buona volontà) che andava a sostituire una visione desolata in cui anche l’eroe (il medico di città: più eroe di così!) era destinato a soccombere. Fatto è che per quante metafore si voglia cucire addosso alla trama e alla messa in scena di qualsiasi invasione degli ultracorpi (a tutt’oggi l’opera di Siegel può essere letta sia come metafora della paura del comunismo in cui tutti sono considerati uguali che come paura del maccartismo in cui tutti sono, invece, omologati) il discorso andrà sempre, volenti o nolenti, a cadere sulla contrapposizione tanto invisa dalla cultura americana, tra individuo e massa.
Aggiornato alle nuove ansie del ventunesimo secolo, il plot dell’invasione subisce, quindi, un’operazione di aggiornamento intrigante anche se non del tutto riuscita. Non è un caso che a farsi depositario della morale del film sia un russo (il possibile ultracorpo, quindi, della vecchia versione Siegel), un diplomatico che dichiara apertamente ad una mondana Nicole Kidman che l’intera specie umana, dominata com’è dai suoi più bassi istinti, è per sua stessa natura guerrafondaia e criminale. Come a dire che il culto dell’individuo conduce naturalmente al conflitto con gli altri, mentre la così detta civiltà è solo la facciata che nasconde il reciproco gioco di interessi tanto tra le persone quanto tra le nazioni. Una realtà che si sgretola proprio quando se ne ha davvero il bisogno.
La capacità di amare è, quindi, solo l’altra faccia della medaglia di un uomo che è capace prima di tutto di odiare. E non si può dare l’uno senza che si debba dare anche l’altro. In questo modo, e qui risiede il risvolto fascistoide del messaggio implicito della nuova versione, la realtà inviolabile della famiglia (americana) che va difesa con le unghie e con i denti come fa la Kidman in cerca del figlioletto, diventa l’altra faccia delle guerre in Iraq o in qualsiasi altro posto del mondo. Dobbiamo, quindi, essere contenti se sulla prima pagina dei giornali campeggia la notizia che altre e cinquanta persone sono morte in un attentato in medioriente perché questo significa che, altrove, le mamme vogliono bene ai loro figli.
Del resto il versante destrorso del messaggio si evince anche da altri dettagli non proprio secondari. Guardando, infatti, l’intreccio dei legami parentali non si può non notare il fatto che il primo a cadere nella rete degli ultracorpi sia proprio il marito divorziato, colui, insomma, che è più distante dalla realtà del nucleo familiare santificato. E, proseguendo su questa pista, non si può non notare il gioco di doppi speculari che si instaura tra i due bambini protagonisti della pellicola: il primo, biondo e con azzurri occhi, è il portatore sano della cura, il secondo, un extracomunitario proveniente da qualche remota regione dell’Est, sembra quasi essere un generale delle truppe di invasione. Più chiaro di così!
In questo modo, mentre la proiezione avanza e la strategia della messa in scena comincia a farsi faticosa (troppi inseguimenti, troppe esplosioni, troppe corse, troppi sobbalzi, ma, almeno, un uso intrigante dei flash-forwards) lo spettatore non può non cominciare ad indignarsi per la logica giustificazionista (sono buone tutte le guerre, specie se americane) che soggiace al tutto. Un film repubblicano e filo Bush, allora, questo Invasion. Soprattutto un film che vorrebbe insinuare il dubbio che il Dalai Lama e Gandhi siano degli alieni, che la non violenza sia una realtà desiderabile, ma al fondo mostruosa e che, quindi, è meglio diffidare dei Nobel per la pace.
E indovinate un po’ chi ne ha appena vinto uno? Al Gore!


CAST & CREDITS

(The Invasion); Regia: Oliver Hirschbiegel (e James McTeigue, non accreditato); sceneggiatura: David Kajganich; fotografia: Rainer Klausmann; montaggio: Joel Negron, Hans Funck; musica: John Ottman; interpreti: Nicole Kidman (Carol), Daniel Craig (Ben), Jeremy Northam (Tucker), Jackson Bond (Oliver), Jeffrey Wright (Dr. Galeano), Veronica Cartwright (Wendy), Malin Akerman (Autumn), Alexis Raben (Danila); produzione: Oliver Pictures Inc., Village Roadshow Pictures, Vertigo Entertainment, Silver Pictures, Warner Bros. Pictures; distribuzione: Warner bros; origine: USA, 2007; durata: 99’; webinfo: Sito ufficiale


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