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Jackie

Pubblicato il 23 febbraio 2017 da Anton Giulio Onofri
VOTO:


Jackie

Il cinema del cileno Pablo Larraìn sta prendendo una piega diversa, come già dimostrato dal Neruda presentato al Festival di Cannes lo scorso maggio. Gli elementi più ostici delle sue opere precedenti, una certa algida crudeltà di rappresentazione smorzata nei toni alti per amplificarne l’effetto tragico, tutto ciò che gli ha guadagnato il favore di folte schiere di ammiratori sul doppio versante della critica e di certo pubblico attento a una produzione cinematografica più eminentemente autoriale, sta (posso aggiungere “finalmente”?) scomparendo dal suo cinema, in favore di ben più originali e dunque interessanti criteri narrativi, che includono una più marcatamente spettacolare scansione ritmica del racconto e venature di mélo che finalmente non sanno di rivisitazione né di riesumazione – a uno come Larraìn l’esercizio di stile proprio non può interessare – ma aggiornano con successo un genere troppo spesso abusato e comunque preso quasi sempre troppo sul serio, in termini di vigorosa, trascinante espressività contemporanea. Un mélo, questo di Larraìn, non più (ri)costruito con l’intenzione di imitare e ricreare un linguaggio d’altri tempi, ma girato in apparente presa diretta, lasciando che il verificarsi delle situazioni drammatiche, delle lacrime, del glamour e della fragilità di un’icona simbolo di un’epoca ormai inghiottita nel ricordo che ce ne hanno restituito i media, ci colpisca in pieno petto con impatto vivido e immediato. Messa da parte anche la peculiare struttura del melodramma, che prevede, come nell’opera lirica, un’arcata narrativa fatta di introduzioni, esposizioni e dosaggi emotivi per toccare gradualmente i diversi e previsti climax del racconto, Larraìn sceglie la chiave dell’immersione perenne nel fiume di lacrime contenute come quelle che Jacqueline, l’ultima principessa di un mondo di fiaba che ai tempi era lecito inventarsi per sé e per gli altri disposti a crederci, dovette trattenere per tutto il tempo che la vide coinvolta nell’assassinio di suo marito, John Fitzgerald Kennedy, prima, durante quei rapidi attimi stigmatizzati nella memoria di ognuno di noi grazie al filmino amatoriale girato a Dallas da Abraham Zapruder, e dopo, quando cioè la macchina istituzionale le impose i funerali di stato e il progressivo smantellamento della sua vita da First Lady, in quella Casa Bianca cui aveva voluto dare un tocco nuovo e amorevole, tanto da permettere alle telecamere di entrarvi per la prima volta e mostrarla in televisione a tutti i cittadini americani. Sovrana incontrastata dell’inquadratura, dalla prima all’ultima, Jackie/Natalie Portman ruba continuamente la scena a qualsiasi personaggio o evento la sfiori: di JFK, per esempio, non vediamo a volte che uno sguincio di occhio, uno scorcio di collo, una mano, la cravatta. L’immagine sgranata e satura di rosa e azzurri si integra miracolosamente con i materiali d’epoca, in un alternanza stupefacente e geniale di colore e bianconero, di campo e controcampo, con una varietà di salti in avanti e all’indietro nel tempo che corrisponde all’inesausta vivacità e ricchezza della sceneggiatura di Noah Oppenheim, giustamente premiata dalla Giuria di Venezia 73. Un film americano fatto da chi americano non è, ma che senza commettere l’errore di appropriarsi di un DNA estraneo, riesce a imbrigliarlo con redini proprie e lanciarlo al galoppo imponendogli nuova freschezza, nuovo carattere. Decisivo l’apporto delle struggenti musiche di Mica Levi, anch’esse quasi un aggiornamento di sonorità a metà tra il romanticismo classico e una più metallica modernità che ricordano le colonne musicali per Hitchcock di Bernard Herrmann.


CAST & CREDITS

(Jackie); Regia: Pablo Larraìn; sceneggiatura: Noah Oppenheim; fotografia: Stéphane Fontaine; montaggio: Sebastián Sepúlveda; musica: Mica Levi; interpreti: Natalie Portman, Billy Crudup, Peter Sarsgaard, Greta Gerwig; produzione: Jackie Productions (II), Wild Bunch, Fabula, LD Entertainment, Protozoa Pictures, Why Not Productions origine: USA/Cile/Francia, 2016; durata: 95’


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