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Jeepers Creepers 2

Pubblicato il 19 marzo 2004 da Alessandro Izzi


Jeepers Creepers 2

Come per il primo film della serie, anche durante la visione di Jeepers Creepers 2 si resta letteralmente conquistati dalla cura con cui vengono sapientemente messi in urto gli ambienti del più classico degli archetipi americani (il tipico ambiente rurale tutto fatto di campagne assolate e dell’odore del grano maturo) con gli orrori notturni della caccia e del sangue. Non ci vuole molto comunque ad accorgersi che, pur restando evidente una precisa consequenzialità iconica e narrativa tra i due episodi della serie (questa seconda parte prende narrativamente il via a poche ore dalla fine della prima), essa resta più apparente che reale. Se, infatti, bisogna ammettere che taluni elementi della precedente puntata agiscono come veri e propri “ritornanti” narrativi, è anche da rimarcare come essi esauriscano tutta la loro funzione nell’essere un fantasmatico rimando costante ad un altrove spazio-temporale a suo modo inattingibile (di qui la presenza di notiziari radio che ci ricordano gli eventi del film - e della notte - precedente, le visioni di sogno ultraterrene ecc.) come a voler sottolineare una distanza incolmabile pur nell’unità di tempo e di luogo. Sicché il sequel finisce per imporsi come un film totalmente altro dal suo predecessore, rimarca costantemente il suo bisogno di voler spostare il proprio raggio di indagine verso orizzonti quanto più lontani possibile da quelli analizzati nel film precedente. Se, infatti, il primo film spaziava nei territori di una favola gotica cupa ed angosciosa (due fratellini sperduti in un bosco incontrano l’uomo nero che si nasconde in una casa resa appetitosa dal marzapane della curiosità), questa seconda puntata sembra, invece, essere decisamente orientata verso una più precisa vocazione allo spaccato sociale. In questa logica, il bus pieno di ragazzi assediato dal mostro diventa perfetta (quanto ovvia) esemplificazione di un microscosmo governato da regole in tutto e per tutto assimilabili a quelle che governano le nostre relazioni interpersonali. Il regista indugia in questo mondo quel tanto che basta per farcene saggiare tutte le contraddizioni implicite rivelando, dietro il sorriso di una finta coscienza collettiva, tutte le idosincrasie che affligono la moderna società (non solo americana). Dissidi razziali, sessuali e gerarchici sono tutti posti in un certo livello di latenza, sempre pronti ad esplodere nel conflitto vero e proprio, sempre pronti ad esasperare quel livello di divisione che pur presente è come tenuto sotto pelle, nella sfera del non detto. A questa situazione di per sé già abbondantemente delicata va, alla fine, ad aggiungersi l’opera corrosiva della presenza del creeper che, scegliendo le sue vittime con calcolo fin troppo spietato, introduce nel tessuto sociale dell’autobus un’ulteriore distinzione: quella tra vittime e semplici testimoni. La scena più terrorizzante di tutto il film, in questo senso, non è una delle tante sequenze di caccia aerea (molto bella quella vista dagli occhi del mostro con i ragazzi che corrono come gazzelle che sfuggono al predatore), ma quella in cui i ragazzi discutono tra loro sull’opportunità di far uscire le vittime designate dal bus, di sacrificare pochi per la salvezza di tutti gli altri (ed è un peccato che questo conflitto interno duri così poco nell’economia complessiva della pellicola). Se, comunque, è da dire che la logica sociologica era già stata presente in molti film del passato (si pensi a Romero o a Craven), non da meno ci pare che sia la prima volta che un film slasher pone in primo piano un discorso non banale sulla relazione dell’individuo così detto medio con l’omosessualità. Tale discorso non si evidenzia tanto nel fatto che uno degli eroi (e, incredibilmente, dei superstiti) sia dichiaratamente omosessuale, quanto piuttosto nel principio di coerenza interna che governa l’intera messa in scena dei vari rapporti interpersonali, tutti riconducibili ad una chiave più o meno larvalmente omoerotica (la scena in cui i ragazzi fanno pipì in gruppo è in questo senso illuminante perché chiarisce la gerachia interna del gruppo e il modo con cui ciascuno marca il proprio territorio che spesso coincide con lo spazio vitale di qualcun altro). Il principio si applica poi in modo ancora più evidente nell’intero immaginario della pellicola: abbandonate, infatti, le classiche scene con soubrette urlante nella doccia (che da Psycho in poi costituiscono elemento imprescindibile dell’immaginario di genere), il film è tutto un trionfo di una ingombrante fisicità di carattere esplicitamente erotico: lo splendore fisico del corpo delgli atleti, il trionfo dei torsi nudi dei ragazzi ecc. Resta, infine, la logica incomprensibile e sfuggente con cui il creeper sceglie le sue vittime che, come la stessa omosessualità del resto, supera d’un sol colpo ogni forma di distizione sociale (l’omosessualità riguarda tanto i bianchi quanto i neri, tanto i ricchi quanto i poveri) e non è direttamente riconoscibile ed individuabile. Al di là, comunque, del discorso di fondo originale e complesso che tenta una sorta di piccola rivoluzione compernicana nelle convenzioni del genere, quello che resta è un film interessante e ben girato, ma che fa poca paura e resta più nelle intenzioni che negli effettivi risultati.

(Jeepers Creepers 2); regia: Victor Salva; sceneggiatura: Victor Salva; fotografia: Don E. FauntLeRoy; montaggio: Ed Marx; musica: Bennett Salva; interpreti: Jonathan Breck, Justin Long, Nicki Lynn Aycox, Ray Wise, Billy Aaron Brown, Drew Tyler Bell; produzione: Tom Luse; distribuzione: 20th Century Fox

[marzo 2004]

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