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JOHNNY ENGLISH

Pubblicato il 10 dicembre 2004 da Alfredo De Giglio


JOHNNY ENGLISH

Da vero e proprio archetipo di film d’azione James Bond si è ridotto alla dimensione piatta e superficiale di uno stereotipo cinematografico.
La ricchezza e la portata innovatrice degli inizi si sono con gli anni appiattiti a causa sia della ripetizione dei film che lo vedono protagonista, sia per colpa dei mille epigoni più o meno diretti.
Matt Helm, Flint, Palmer, XXX e Austin Power, solo per citarne alcuni, sono tutti debitori non solo della forma-personaggio di Bond ma si sono nutriti del suo immaginario.
Questo ha impoverito l’originalità di 007 che, per continuare a sopravvivere, ha dovuto nutrirsi di se stesso, fagocitando nel suo elegante smoking anche le forme più rozze di parodia.
Per questo nei film ’seri’ di Bond trovano spazio, soprattutto da qualche film a questa parte, battute di dubbio gusto e trovate al limite dell’incredibile: Bond è ormai personaggio mitizzato e dissacrato allo stesso tempo.
Solo in questa chiave può trovare spiegazione la scena di Goldeneye (una delle iperboli più significative della sua lunga carriera) in cui il comandante James prende letteralmente al volo un elicottero: uno stereotipo che si prende in giro da solo risulta inattaccabile diventando immune da ogni parodia.
Per questi motivi, ed altro ancora che qui non può e non deve trovare spazio, Johnny English (personaggio nato in TV per pubblicizzare una carta di credito) fa una strana impressione di déjà-vu.
Lontano dalla parodia surreal-demenziale dei fratelli Zucker (quelli de La pallottola spuntata) e da quella più coatta di XXX, il film con Rowan Atkinson è senza dubbio quello più filologicamente corretto: non solo perché, dalla produzione al personaggio principale, questo è un film inglese, ma anche perché gli sceneggiatori sono gli autori degli ultimi due episodi con Pierce Brosnan. Chi meglio di loro, quindi, avrebbero potuto prepare un copione divertente che mostrasse, mettendo a nudo, le debolezze e le incongruenze del mito Bond? Invece niente. Se non fosse per la straordinaria mimica facciale di Atkinson, ancora poco conosciuto in Italia, naturalmente oltre a Mr Bean, questo sarebbe un film come tanti, sicuramente con una comictà retro, che poco concede agli eccessi visivi di un Austin Power, tanto per fare un esempio, ma che manca di appeal.
Le vicende si snodano come in un qualunque film serio: un cattivo vuole impossessarsi dell’Inghilterra e tocca ad un oscuro agente segreto (segreto perché destinato perennemente in ufficio) salvare il mondo; anche perché tutti i suoi colleghi più famosi sono morti in un attentato.
Da questo spunto non originalissimo, l’inetto che deve affrontare eventi più grandi di lui, si innescano una serie di doppi sensi, figuracce e strambi corteggiamenti che accompagneranno Johnny English fino alla risoluzione del caso e conseguente sconfitta del male.
Detta così appare un po’ troppo semplice... ed infatti è così.
Bella la Imbruglia (che pronuncia la battuta più bella del film: "Ho cominciato a vedere oltre l’idiota che è sotto gli occhi di tutti"), inguardabile Malkovich con capelli.
In tutto il film si respira un’aria di stanchezza. Peccato, ma il parziale fallimento di questo film è da inquadrare in una crisi più estesa del cinema comico a cui, forse definitivamente, ha dato l’ultima spallata Ubriaco d’amore, geniale film d’avanguardia comica (nettamente debitore di Jerry Lewis). Ma questo è un altro discorso.

regia: Peter Howitt; sceneggiatura: Neal Purvis, Robert Wade e William Davies; fotografia: Remi Adefarasin; montaggio: Robin Sales; musica: Edward Shearmur; interpreti: Rowan Atkinson, Natalie Imbruglia, John Malkovich; produzione: Working Title; origine: USA; durata: 124’; distribuzione: UIP; web info: sito ufficiale

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