Jurassic World - Il regno distrutto
Una delle immagini più suggestive del primo capitolo di questa saga cinematografica cominciata nel 1993 era un T-rex che ruggiva all’interno della sala principale del Jurassic Park, mentre uno striscione che calava dal soffitto sentenziava “quando i dinosauri dominavano la Terra”. La frase cardine di quest’ultimo capitolo potrebbe parafrasare il contenuto di quel testo in “quando i dinosauri domineranno la Terra”, mentre lo stesso T-rex ruggisce trionfante faccia a faccia con il leone di un zoo.
Ne Il regno distrutto la saga Jurassic si allontana dai toni metacinematografici del film precedente (che rifletteva sullo spettacolo e sui più denti richiesti dal pubblico) tornando invece ad interrogarsi su temi relativi all’uomo e alle sue responsabilità: ora che ha sfruttato il potere di creare la vita, è giusto che l’umanità permetta e aiuti le sue creazioni a sopravvivere? I dinosauri rischiano infatti una seconda estinzione a causa dell’imminente eruzione del vulcano di Isla Nublar e, mentre l’opinione pubblica dibatte sul concetto etico della vita e un gruppo di fanatici chiede ai responsabili di Jurassic World una mano per salvare quante più specie possibile, lo scienziato Henry Wu torna a giocare con i DNA dei dinosauri per creare l’ennesimo mostro. Stavolta, però, non cerca più denti, ma più spietatezza, più intelligenza; cerca, insomma, di convogliare il lato oscuro dell’animo umano nella sua ultima creazione.
La sceneggiatura di Colin Trevorrow e Derek Connolly, della quale dobbiamo sopportare le esagerazioni ormai tipiche di una saga caratterizzata anche da una componente di goliardica assurdità, riflette sulla vita creata in laboratorio e sull’importanza di rendersi responsabili delle proprie azioni. Parallelamente la regia di Juan Antonio Bayona recupera la componente orrorifica accantonata in Jurassic World e riporta all’interno della saga quel terrore viscerale che spaventava e affascinava al tempo stesso i bambini che venivano catturati dallo spettacolo ideato da Steven Spielberg. Il fascino attrattivo è riservato ai dinosauri ormai noti (dal già citato T-rex alla sempre più empatica Blue); è all’Indoraptor, invece, che viene affidato il sentimento di paura: quella terrificante macchina da guerra creata al solo scopo di rispondere agli ordini umani e uccidere non è come gli altri animali usciti dal parco, è più approssimabile ad uno squamoso Freddy Krueger che gioca con le sue vittime finché non le squarta. Bayona decide che la paura, come l’adrenalina e l’immancabile (auto)ironia, deve avere il suo spazio nel racconto e, con inquietanti giochi di luci ed ombre e un uso sapiente della colonna sonora (dalle musiche sorprendentemente apocalittiche di Michael Giacchino ai suoni stridenti di artigli, metallo e grida strozzate), organizza uno spettacolo coinvolgente e convincente, anche se a tratti sfrutta scelte scolastiche ed escamotage registici già visti.
Il Jurassic World del titolo non è più, dunque, un parco a tema, ma l’intero pianeta perché, come dice Ian Malcolm “il potere della genetica è stato liberato” e ormai i dinosauri non sono più un’attrazione da ammirare passivamente attraverso una girosfera, ma sono diventati una nostra responsabilità e, come tale, non possiamo che aspettarci di pagarne le conseguenze.
(Jurassic World: Fallen Kingdom); Regia: Juan Antonio Bayona; sceneggiatura: Colin Trevorrow, Derek Connolly; fotografia: Óscar Faura; montaggio: Bernat Vilaplana; musica: Michael Giacchino; interpreti: Chris Pratt, Bryce Dallas Howard, Justice Smith, Toby Jones, James Cromwell, Ted Levine, Daniella Pineda, Jeff Goldblum; produzione: Belén Atienza, Patrick Crowley, Frank Marshall; distribuzione: Universal Pictures; origine: USA, 2018.