X

Su questo sito utilizziamo cookie tecnici e, previo tuo consenso, cookie di profilazione, nostri e di terze parti, per proporti pubblicit‡ in linea con le tue preferenze. Se vuoi saperne di pi˘ o prestare il consenso solo ad alcuni utilizzi clicca qui. Chiudendo questo banner, invece, presti il consenso allíuso di tutti i cookie



Ken Loach - la tesi di The spirit of ’45

Pubblicato il 11 settembre 2013 da Giammario Di Risio


Ken Loach - la tesi di The spirit of '45

L’Inghilterra ha un’urgenza e, come per l’Italia del primo dopoguerra “invasa” dagli arditi, deve necessariamente offrire, da vincitrice del secondo conflitto mondiale, nuove prospettive di vita ai reduci dal fronte e alle loro famiglie. Il cambio di paradigma politico dei laburisti offrirà stupore e un nuovo modo di rimettersi in moto. Ma il Novecento non finisce mai di sorprendere e nelle ultime due decadi la torta viene apparecchiata, democraticamente, da un altro partito. Quest’ultimo ha la necessità di proporre la sua visione scartando, di fatto, le scelte del passato.

Dopo la fine del secondo conflitto mondiale, l’Inghilterra è letteralmente prostrata per cinque anni di guerre e, nonostante la vittoria, la sua economia è pari a zero. Il partito laburista raccoglie lo scontento per aprire una nuova stagione, che possa risollevare tutto il Regno Unito. La nazionalizzazione delle miniere di carbone, delle industrie elettriche, della rete ferroviaria e un piano nazionale per i portuali esalteranno la volontà di sistema collettivo, con la classe media che riuscirà finalmente ad avere la percezione di essere padrona della sua stessa vita. Sono le persone che hanno vissuto direttamente quell’esperienza a raccontarci come sono andate le cose, mentre l’attenta regia è abile, nella seconda parte, a mostrarci viceversa la deriva del sistema neoliberista, rappresentato dalla scalata al potere di Margaret Tatcher e del partito conservatore.

Sicuramente non il miglior racconto per immagini di Ken Loach, ma un documentario che emoziona, non fosse altro per la grandissima quantità di materiale d’archivio con la quale ci interfacciamo. Una vasta gamma di video in bianco e nero di cineoperatori in cui, utilizzando la metafora della memoria, Loach recupera i sorrisi di gioia alla fine della guerra, la miseria dei bassifondi delle città industrializzate dove tutto è ridotto in macerie, l’interazione dell’uomo inglese con la fabbrica e il "rinascimento" realizzato dai laburisti. E poi ci sono i volti, i tanti volti che guardano l’obiettivo e si collegano, dialetticamente e come linguaggio del documentario, alle interviste dei narratori. Quest’ultimi hanno vissuto l’avvento del partito laburista come un grande scatto verso una nuova coscienza civile e, liturgicamente, raccontano di quel periodo esaltando i pregi, quasi mai i difetti. Tutta questa emozione smette di pulsare con l’arrivo del partito conservatore, ed ecco che gli stessi narratori perdono lo stupore dei primi quarantacinque minuti diventando cinici nella descrizione; scopriamo così che la Tatcher, aprendo al capitalismo, ha distrutto l’economia e il welfare britannico. Non ci sono più le atmosfere di utopia da condividere viceversa ci si ritrova all’interno di un sistema che premia l’individualismo e la privatizzazione. L’ultima speranza, e avvertimento del documentario, è non far crollare l’unico baluardo rimasto: la sanità.

The spirit of ’45 è stato presentato sabato scorso al Teatro Valle Occupato che presto, a fine settembre, diventerà associazione aperta alla curiosità e alla passione del mondo esterno. A introdurre l’opera, che andrà in programmazione, dal 12 settembre, nei cinema Mignon e Eden di Roma, ci hanno pensato l’attore Elio Germano, la regista Wilma Labate e il professore Giovanni Spagnoletti. L’attore ha concentrato il suo intervento esaltando il cinema di Loach, fatto di attori, dove tutto ciò che accade si percepisce come reale e in contrasto con le “scatole” hollywoodiane. La Labate ha esaltato il movimento di classe dei laburisti e il documentario, focalizzandosi sulla morbidezza dei movimenti di macchina e sulla modernità del popolo inglese del dopoguerra, con tante donne festanti in piazza. Il professore è entrato viceversa più nel discorso cinematografico, sottolineando la grande tradizione del genere documentario in Inghilterra e convergendo poi su Loach stesso che, già dagli anni Sessanta, dividendosi tra la televisione e il free cinema, presentava i suoi racconti a tesi. Su un versante ideale, Loach propone sempre la sua versione dei fatti; su quello pratico egli non ama mettere mai l’io al primo posto e vive la realizzazione di un film come un’opera corale, ha poi concluso Spagnoletti.


Enregistrer au format PDF