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Kong: Skull Island

Pubblicato il 9 marzo 2017 da Annalaura Imperiali
VOTO:


Kong: Skull Island

Come tutte le storie che si rispettino, anche Kong: Skull Island inizia con “c’era una volta…”.

C’era una volta, nel 1944, un aereo militare che precipitò durante la Seconda Guerra Mondiale sulla sabbia dorata di un’isola completamente sconosciuta nel Sud del Pacifico. Due combattenti ne uscirono, continuando a lottare tra loro, pur gravemente feriti, fin quando non si resero conto che, al di là del colore della propria bandiera – Giappone vs. Stati Uniti d’America – non erano nient’altro che fratelli. Decisero quindi di incarnare il principio dell’“unione fa la forza” per battersi insieme contro qualcosa di più grande e di più pericoloso della propria diversità di schieramento. Circa trent’anni dopo, a metà degli anni ’70 e al celeberrimo momento storico della fine della Guerra del Vietnam, sulla stessa isola dalla sabbia dorata si ritrova a condividere una missione al contempo militare, civile e scientifica un gruppo eterogeneo di persone accomunate soltanto dal non aver più nulla da perdere. E così il pluripremiato colonnello Preston Packard, emblema del veterano americano dagli arcaici e guerrafondai valori basati sulla predominanza assoluta della razza umana, l’ex affiliato delle forze speciali britanniche James Conrad, esperto di recuperi e salvataggi in territori impervi e ricchi di sorprese inaspettate, e la foto-reporter Mason Weaver, donna che di femminile ha solo l’aspetto esteriore, considerando la tenacia, la forza fisica e il coraggio leonino che dimostra in ogni circostanza, sono solo alcuni dei protagonisti di questa storia corale che ruota tutta intorno al vero re: Kong.

E su Kong c’è molto da dire, in effetti, considerando che si tratta di uno dei più significativi personaggi fantastici che la storia del cinema abbia mai partorito. Tutto comincia con il romanzo di Edgar Wallace, noto scrittore e sceneggiatore di origine britannica a cui nel 1932 fu dato incarico dalla major hollywoodiana RKO di scrivere un "film raccapricciante", affinché la sua fervida fantasia, unita ad alcune reminiscenze dei viaggi in Africa fatti da Wallace stesso, portasse il pubblico dell’epoca all’apice della curiosità nei confronti di mondi diversi e lontani dall’upper class che frequentava l’ambiente del cinematografo negli anni ’30 del ‘900. King Kong, quindi, è subito divenuto molto più che un semplice personaggio. Paradigma della bestia feroce che, proprio in quanto indomita, l’uomo per principio tende a voler dominare, King Kong è l’emblema di quello che oggi si potrebbe definire “High Concept”, termine attribuibile ai blockbuster di produzione americana che si caratterizzano per una struttura modulabile, tale da far sì che l’elemento chiave della storia, in questo caso King Kong stesso, possa essere esportato in differenti contesti anche non specificatamente cinematografici.

Nacque così il primo film sul tema del gorilla umanoide, originario della leggendaria Isola del Teschio e ultimo re superstite di una gigantesca specie di primati nota come Megaprimatus Kong, che vide la luce nel 1933 per opera del regista Merian C. Cooper. Ancora primordiale, non solo come personaggio in sé per sé, ma anche e soprattutto come tecnica di resa sul grande schermo, quasi tutta effettuata attraverso l’estremamente percettibile uso del cosiddetto “trasparente”, il primo King Kong ha comunque dato vita ad un macro-genere, quello dell’ibrido fantastico-avventuroso, che ha stimolato molto la storia del cinema successivo anche a distanza di parecchi anni.

La seconda versione del film arriva nel 1976 con la regia di John Guillermin, la produzione di Dino De Laurentiis e il lancio della diva Jessica Lange. Remake della precedente pellicola, di cui riprende interamente e pedissequamente la trama, questo secondo King Kong pecca dal canto suo di originalità e di sfumature umane (si pensi al comportamento insensato, al punto da risultare profondamente fastidioso, della protagonista femminile della storia, Dwan); l’unico elemento che salva il film è proprio il robot gigante di King Kong riproposto, in chiave più moderna e più efficace, dall’artista italiano Carlo Rambaldi.

Nel 2005 è Peter Jackson a prendere in mano le redini della vicenda e a ripresentarla sul grande schermo, seguendo ancora lo schema classico del 1933, ma stavolta con una resa visiva, un utilizzo degli effetti speciali e una bellezza fotografica assolutamente nuovi e degni di nota. Il suo King Kong è di una possanza e di una bellezza, interiore ed esteriore, tale da zittire chiunque, dal più appassionato al genere e al personaggio, al meno avvezzo alla saga.

Ma è sicuramente Kong: Skull Island a dettare le linee guida da un lato di una storia alternativa a quella proposta dalla trama originale, tale da poter essere considerata quasi uno spin-off, e dall’altro lato a scavalcare gli schemi classici di una vicenda che viene rivista in chiave quasi animalista, e quindi molto più contemporanea. Il King Kong di Jordan Vogt-Roberts è un essere maestoso, come suggerisce il nome stesso, del cui valore e della cui importanza, in termini di salvaguardia dell’ecosistema naturale, si rendono conto in primis proprio gli uomini arrivati in spedizione sull’isola, cosa che nelle precedenti versioni non avveniva affatto o avveniva solamente in minima parte (quella della protagonista femminile che, vivendoci accanto più degli altri, si rendeva conto della profonda bontà del gorilla).
Kong, in quest’ultimo film prodotto dalla Legendary Pictures, non si trasporta più, contro la sua volontà, dalla natura selvaggia a cui appartiene alla vacua Broadway dove tutti si riuniscono per vedere l’“ottava meraviglia del mondo”; si lascia piuttosto a regnare nel suo universo, quello dell’Isola del Teschio in cui, grazie alla sua unica e potente presenza, tutto l’equilibrio della catena alimentare e dell’equa divisione degli spazi vitali dei vari esseri viventi si rispetta con onore. Questo Kong, dunque, come capostipite di una nuova serie di film – si pensi all’extra seguito ai titoli di coda alla fine della proiezione in sala, che prelude ad un nuovo Godzilla come altro animale fantastico da far rivivere ancora una volta nella cultura cinematografica del grande pubblico internazionale – si fa bellezza da ammirare, più che mostruosità da mettere al bando e alla mercé della cattiveria umana.

La natura si ribella e, al contrario di quanto sosteneva Leopardi, non è matrigna, ma piuttosto benigna rappresentazione di quel poco per cui vale ancora la pena lottare.


CAST & CREDITS

(Kong: Skull Island) - Regia: Jordan Vogt-Roberts; Soggetto: Edgar Wallace (romanzo); Sceneggiatura: Max Borenstein, Derek Connolly, John Gatins, Dan Gilroy; Fotografia: Larry Fong; Montaggio: Bob Murawski, Richard Pearson, Christian Wagner; Musiche: Henry Jackman; Scenografia: Stefan Dechant; Costumi: Mary E. Vogt; Interpreti: Tom Hiddleston (James Conrad), Samuel L. Jackson (Preston Packard), John Goodman (William "Bill" Randa), Brie Larson (Mason Weaver), Jing Tian (San Lin); Produzione: Legendary Pictures; Distribuzione IT: Warner Bros. Pictures; Origine: U.S.A., 2017; Durata: 118’; Web info: http://kongskullislandmovie.com/


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