L’Alba del Pianeta delle Scimmie

E’ sempre un’operazione delicata e rischiosa procedere alla rilettura di un mito cinematografico; se poi si affronta un cult fantascientifico come Il pianeta delle scimmie, cresce esponenzialmente il pericolo di incorrere negli strali critici e nei puntigliosi raffronti della vasta schiera di cinefili innamorati dell’originale di Franklin J. Schaffner del 1968. Persino un mostro sacro come Tim Burton, autore del remake del 2001, non è riuscito ad evitare giudizi anche severi ed impietosi, pur conseguendo poi ottimi risultati al botteghino.
Rupert Wyatt, regista inglese al suo secondo lungometraggio, sceglie invece la strada del prequel e prova quindi a spiegare le vicende che, nel film capostipite, hanno portato la Terra in mano alle scimmie, scatenando l’epica disperazione di Charlton Heston nelle sequenze finali. E il risultato che ne scaturisce è più che accettabile, grazie ad una sceneggiatura lineare e coerente, sia pure costellata qua e là di alcune ingenuità, e di una regia asciutta ed essenziale, che conferisce ritmo e pathos all’evolversi della trama.
La via prescelta è quella della parabola ambientalista, ricca di metafore antirazziste e volta a suscitare riflessioni sul fatto che le esigenze del progresso non possono essere perseguite senza limitazioni, giungendo a violentare la natura ed a porre in secondo piano il valore della vita. Will Rodman (James Franco) è un ingegnere genetico che pensa di aver trovato un farmaco per debellare l’Alzheimer, terribile morbo che sta devastando anche la mente di suo padre Charles (John Lithgow). Sperimenta quindi il prodotto sulle scimmie e, dopo alcuni drammatici eventi, accoglie in casa Caesar, cucciolo di scimpanzé nato in laboratorio da una madre-cavia. Nel tempo il piccolo manifesta doti straordinarie ma, quando viene forzatamente sottratto al suo amico e rinchiuso in una struttura, dove subisce vessazioni e violenze, Caesar perde gradualmente fiducia negli umani. Acquisisce piena coscienza della sua condizione di prigioniero e incanala la sua rabbia distruttiva contro i suoi aguzzini; ottenuta la collaborazione di altre scimmie nelle sue stesse condizioni, si pone a capo di una rivolta durissima contro gli oppressori umani e raggiunge infine la libertà.
Proprio la figura di Caesar è la più riuscita e meglio sviluppata del film, anche in virtù dello strepitoso lavoro effettuato dai maghi della Weta – con Andy Serkis protagonista delle animazioni in motion-capture - che sono riusciti a conferire al personaggio digitale una tale gamma espressiva da renderlo un “attore” a tutti gli effetti. Un contributo determinante, quello della Weta, in quanto fornisce al film un reale valore aggiunto, in termini di spessore e personalità: meriterebbe quantomeno una nomination agli Oscar di settore. Meno incisivi i personaggi “umani”, a partire da James Franco un po’ troppo sommesso per un ruolo che richiedeva forse una presenza ben più carismatica; di contro, sembra sprecato il talento di John Lithgow per un personaggio certamente importante ma che appare solo in poche sequenze.
Se si passa sopra alla prevedibilità di alcune situazioni ed a certe forzature che suscitano ilarità, soprattutto quando le scimmie adottano atteggiamenti quasi caricaturali, il film risulta ben strutturato e gradevole, riuscendo per di più a gratificare il pubblico con varie scene dal notevole impatto visivo. Una buona scelta, insomma, per gli appassionati di fantascienza alla ricerca di un prodotto di qualità.
(Rise of the Planet of the Apes) Regia: Rupert Wyatt ; sceneggiatura:Rick Jaffa, Amanda Silver ; fotografia: Andrew Lesnie; montaggio: Conrad Buff IV, Mark Goldblatt ; musica: Patrick Doyle ; interpreti: James Franco (Will Rodman), John Lithgow (Charles Rodman), Freida Pinto (Caroline Aranha), Brian Cox (John Landon); produzione: Chernin Entertainment, Dune Entertainment, Twentieth Century Fox Film Corporation; distribuzione: Twentieth Century Fox ; origine:U.S.A. ; durata: 105’.
