L’apetta Giulia e la Signora Vita

Di fronte ad un film come L’apetta Giulia e la Signora Vita non si può non provare un pizzico di tenerezza compassionevole. È un anelito di simpatia immotivata, quello che ci coglie mentre il film scorre via, che ci stringe il cuore perché ci rende difficile parlare male di una cosa, come questo filemttino, che, in fondo, appare così piccola ed inerme come una fogliuzza d’erba che spunta nella brina di un inverno ancora troppo recente. Il gelo invernale, se ci si passa la metafora un po’ logora, è, come facilmente intuibile, quello dell’animazione italiana: un mondo ancora troppo acerbo che da tempo cerca una propria dignità autoriale ed una propria qualità esportabile nel resto del mondo. Ma, e diaciamo subito a scanso di equivoci, il caso de L’apetta Giulia e la Signora Vita è più circoscritto e particolare delle ben più corpose favole di D’Alò o delle più produttivamente ambiziose costruzioni di Manuli perché per la prima volta (almeno nel contesto di un intero film) un lungometraggio italiano tenta la strada insidiosa dell’animazione tridimensionale. Il confronto con analoghe opere statunitensi (leggi Pixar) sarebbe a questo punto tanto spontaneo quanto impari per cui vorremmo evitare di mettere a cofronto la grafica geniale e spiazzante dei maestri d’oltreoceano con quella ben più semplice e naif dei disegnatori nostrani. In questa sede possiamo solo limitarci a notare come, in fondo, l’opera italiana, che per molti aspetti ha un’impaginazione alquanto paratelevisiva, strizzi l’occhio più a certe esperienze giapponesi che non ai pur contigui (se non altro per ambientazioni e personaggi) Z la formica o Shreck. Ne viene fuori un prodotto che sembra voler cercare una programmatica ingenuità di tratto con figure tondeggianti oltre misura e con personaggi simili a bambolotti di gomma dagli occhioni sgranati e sognanti che riempono, da soli, tre quarti del volto. Figure pensate e sognate per un’infanzia ingenua che forse non esiste più in un mondo, come il nostro, ormai divorato dal consumo fugace delle immagini e che conserva un sapore retrò non sappiamo quanto volontariamente perseguito. Non riusciamo a capire quanto l’ingenuità del tratteggio (che urta con le volontà moraleggianti e filosofiche dell’apologo narrato) sia frutto di una precisa ricerca autoriale e quanto non dipenda, invece, dalla povertà dei mezzi di un’industria totalmente inesistente in Italia. E questo dissidio formale-contenuitistico finisce per urtare con le ambizioni di uno script che, invece, brilla per la pervicacia con cui ricerca le formule di una fiaba antica dal preciso intento didattico. Lo smarrimento della protagonista verso gli insondabili misteri della vita (che è poi il nocciolo di un racconto pensato a scatole cinesi con tanti episodi tra loro fin troppo slegati e sconnessi) appare, per questo, troppo perseguito a tavolino e ci dispiace dover affermare che il tutto finisce per apparire troppo fumoso anche e soprattutto per quel pubblico bambino (e solo bambino perché gli autori sembrano del tutto disinteressati a creare un prodotto fruibile a più livelli e appetibile anche per un pubblico adulto) cui la pellicola si rivolge. Le incertezze della veste grafica, certo, invitano noi tutti all’indulgenza, ma non si può essere indulgenti verso un racconto che, smarrita la propria carica affabulatoria in una serie di considerazioni moraleggianti, finisce per perdere di vista lo scopo ultima di ogni favola. Gli autori sembrano non aver capito che il buon narratore deve pervenire alla “morale” della favola attraverso lo stupore e non raggiungere la fantasia attraverso la didascalia. E’ certo vero che non esiste ancora una scuola di animazione italiana vera e propria, ma sul fatto che gli italiani non sappiano raccontare favole Calvino potrebbe avere qualcosa da obiettare.
(L’apetta Giulia e la Signora Vita); Regia: Paolo Modugno; sceneggiatura: Paolo Modugno, Veronica Salvi; interpreti: Irene Grandi, Ludovica Modugno, Raf, Michele Mirabella, Nino Manfredi; produzione: Veronica Salvi; distribuzuione: Esse&Bi cinematografica
[ottobre 2003]
