L’ELETTO

Crash, bang, aiut!, nooo, bang (di nuovo), thump, zock. Volendo riassumere, questo è il succo di L’eletto, del regista e scrittore francese Guillame Nicloux, già autore nel 2002 di Una questione privata e creatore di una compagnia di teatro sperimentale. Un incipit senza dialoghi, la tensione di carrellate a seguire e precedere su un uomo e una donna che tentano di salvare un santone mongolo da un centro di detenzione russo. Due detonazioni, prime di una lunga serie di spari, mettono fine all’impresa e alla vita dei due. Un breve, intenso prologo che agisce da trainante tappeto rosso per presentare la protagonista full screen, la persona più presente alle conferenze stampa della Festa di Roma (dove il film è stato presentato lo scorso ottobre nella sezione Premiére), a giudicare dal numero di film che ha presentato, presenta e presenterà. La proliferazione di Monica Bellucci non conosce soste, abbatte ostacoli, si insinua nei pressbook, spunta dal sushi della terrazza dell’Auditorium, si materializza nel cielo come la strega buona dell’est. Qui impersona Laura, una donna alle prese con strane e incomprensibili allucinazioni, comparse contemporaneamente a una voglia sul petto di Liu-San, il figlio che anni prima aveva adottato in un orfanotrofio in Mongolia. Tra lenti colpi di scena, strani incidenti provocati, apparizioni di animali e una lunga sequela di morti, la protagonista riuscirà, prima della polizia, a scoprire che il figlio altri non è che il solito, ennesimo, ulteriore Eletto della storia del cinema, concorrente diretto dei vari Neo e figli di Satana sparsi un po’ ovunque. Il taglio di capelli corto che vorrebbe sottolineare un aspetto androgino e allo stesso tempo renderla un personaggio fragile ispirato alle Seberg e Karina, la avvicina al contrario al soldato Jane, a giudicare dalle scene d’azione, tentativi di omicidio, tradimenti di amiche ed ex fidanzati, incidenti d’auto che subisce lungo la vicenda.
Un film fatto di occhiaie delle star, occhi rossi, graffi e animali totemici, sorrisi smorzati e urla continue. La recitazione della Bellucci, infagottata in improbabili maglioncini di lana che ricordano quelli di Danny in Shining, a sprazzi mostra un lumicino di miglioramento, specie nelle scene iniziali più private, per poi essere eluso nelle scene di spavento e paura, che costituiscono il novanta percento della pellicola, decisamente imbarazzanti alla visione.
La regia tratta il materiale della sceneggiatura di Jean-Christophe Grangè (che il pubblico ha conosciuto con il ben più riuscito Fiumi di porpora), in seguito diventata romanzo, come fosse un thriller autoriale: i numerosi quadretti famigliari sono conditi da scene d’azione adrenaliniche e sanguinose, sulla falsariga e senza gli stessi, tra l’altro deludenti, risultati di un predecessore come Il senso di Smilla per la neve, con cui si possono rilevare numerosi punti d’incontro. Uno dei motivi trainanti di numerosi film della Festa, la ricerca delle origini e di un’identità perduta, viene scalfito per dare maggiore spazio alla presunta inquietudine del paranormale, mostrato senza orpelli da bassa fantascienza, ma mai abbastanza calato nella vicenda da risultare convincente. Una menzione a parte per la fotografia di Peter Suschitzky (A history of violence), che esalta i tagli di luce sul volto della protagonista, evidenziando una notevole attenzione alla psicologizzazione delle scenografie di interni e degli esterni girati nella vastità degli spazi vuoti e inospitali della Mongolia.
Parlare delle interpretazioni di Monica Bellucci è ormai diventato un esercizio di stile per chi intraprende la scrittura critica. Per questo chiediamo a registi e produttori di fermare lo stillicidio, cambiando i criteri dei casting o perlomeno diradando i dialoghi in semplici urli, urletti, grida e gorgheggi. Resta, l’ennesimo estenuante urlo nero della madre che va incontro al figlio rapito e in attesa di essere sacrificato da una Catherine Deneuve malvagia e inquietante, punto di forza mal sfruttato di un film piatto e senza linfa, sospeso e ipocrita nel tentare di assurgere al rango di thriller d’autore.
(Le Concile de pierre) Regia: Guillame Nicloux; Soggetto: tratto dal romanzo omonimo di Jean-Chrisophe Grangé; Sceneggiatura: Guillame Nicloux, Stèphane Cabel; Fotografia: Peter Suschitzky; Scenografie: Olivier Radot; Montaggio: Guy Lecorne; Costumi: Judy Shrewsbury, Thierry Delettre; Interpreti: Monica Bellucci (Laura Siprien), Catherine Deneuve (Sibille Weber), Moritz Bleibtreu (Serguei Makov), Sami Bouajila (Lucas), Lorenzo Calducci (ispettore Neves); Produzione: UGC YM, Integral Film, Rai Cinema, TF1 Films Productions; Distribuzione: 01 Distribution; Origine: Francia, Italia, 2006; Durata: 110 min.; Sito Web: www.01distribution.it
