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L’Enfant

Pubblicato il 18 maggio 2005 da Fabrizio Croce


L'Enfant

C’è un momento sublime e quasi inafferrabile che attraversa l’ultimo, debordante, necessario viaggio dei fratelli Dardenne all’interno di corpi di creature ferite e marginali. Si tratta dell’espressione che, come un lampo, balena sulla faccia di Bruno, il piccolo landruncolo divenuto padre per caso e senza troppa convinzione, quando si rende conto della possibilità di fare soldi vendendo il figlio neonato ad una banda di ricettatori che, tra videocamere e carte sim, traffica anche in adozioni illegali.Quel’espressione di chi sopravvive attimo dopo attimo, espediente dopo espediente, sospensione dopo sospensione, ad un’esistenza fatta di materialità e fisicità, dove l’unico tempo possibile in cui manifestarsi è quello delle esplosioni improvvise e dei sussulti di corpi che a volte oppongono una resistenza disperata, mentre altre si abbandonano all’arrendevolezza ingenua, tenera, vulnerabile del proprio bisogno di calore umano e di protezione. Si potrebbe quasi dire che il neonato è in realtà lo stesso Bruno e l’ambiente che i Dardenne gli filmano intorno sia a livello relazione che a livello spaziale esprime delle necessità infantili, ludiche, primarie, proiettate ad esistere l’illusione di una sola giornata trascorsa scarrozzando per la città con una decappottabile presa in affitto con tanto di culla nuova per il bambino che poi, con la stessa naturalezza, verrà dato via o nel rapporto spontaneo e giocoso con Sonia, la ragazza che una volta divenuta madre vorrà riconoscere quel figlio e disconosce invece quel padre irresponsabile ed egoista, facendo un gesto , in termini di consapevolezza e dignità, che la pone sullo stesso piano di Rosetta e del protagonista del Figlio , che affermano sé stessi, la prima attraverso la caparbia volontà di avere una lavoro, il secondo attraverso la scelta di non vendicarsi del delinquentello che gli ha ucciso il figlio.Ma come al solito l’occhio dei Dardenne non si pone in una maniera accusatoria e incriminante nei confronti di Bruno verso il quale anzi, forse perché interpretato da Jeremie Renier, loro attore feticcio dai tempi de La Promessa, tradiscono quasi un’empatia come nel momento in cui lo filmano chiuso in un garage, intento ad ascoltare dall’altra parte del muro gli uomini a cui ha venduto il proprio figlio che contano i soldi restituiti per riaverlo indietro, ripetendo affannosamente “Il bambino è lì?”. E concedendogli anche, come mai in passato hanno fatto con gli altri corpi e le altre voci su cui hanno soffermato il loro sguardo, la possibilità di rinascere ogni volta, ad ogni inquadratura ed ogni fotogramma come individuo portatore di un carico di esperienza e di vissuto sempre maggiore, più doloroso, più presente.Bruno passa dal rifugio scabro vicino al fiume dell’ inizio della sua vicenda alla sala colloqui della prigione finale, dove arriva proprio compiendo una scelta finalmente consapevole, autodenunciandosi dell’ennesimo furto compiuto per scagionare il ragazzino quattordicenne suo complice, e dalle risate scomposte e travolgenti con Sonia, ad un condiviso e quasi sordo pianto davanti alla constatazione, cui la mdp anche in questo caso dà corposa e tangibile esistenza nella densità dei gesti e delle espressioni colte in un contatto strabordante dai confini della percezione, che ad ogni azione corrisponde una conseguenza.La vita randagia e picaresca si è fatta dolente umanità.

[Maggio 2005]

Regia: Jean-Pierre Dardenne, Luc Dardenne; Sceneggiatura: Jean-Pierre Dardenne, Luc Dardenne; Fotografia: Alain Marcoen; Interpreti: Jeremie Renier, Fabrizio Rongione, Olivier Gourmet Produzione: Jean-Pierre Dardenne, Luc Dardenne, Denis Freyd; Durata: 1h e 35’; Origine: Belgio, 2005

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