L’età giovane - Festa del Cinema di Roma 2019
Con il loro cinema in apparenza semplice e minimalista, ma in realtà infinitamente complesso, tornano sugli schermi Luc e Jean-Pierre Dardenne, tre anni dopo La ragazza senza nome, che sollevò ai tempi qualche perplessità e incrinò, a parere di molti, l’ininterrotta continuità di qualità e livello garantiti dallo stile rigoroso ma mai austero dei due fratelli belgi, sempre fedeli a un’idea di umana pietà estranea a qualsiasi retorica buonista. Anche L’età giovane (che in originale si intitola Le jeune Ahmed), nonostante il premio per la regia conquistato all’ultimo Festival di Cannes, ha sollevato qualche dubbio consistente nei critici e negli accreditati in Croisette, fino alle inspiegabili accuse di razzismo, o quantomeno di ambiguità ideologica.
Il progetto di L’età giovane è nato in seguito agli attentati di Bruxelles rivendicati dallo Stato Islamico del marzo 2016, cui tuttavia il film non fa riferimento, scegliendo piuttosto la strada dell’analisi sul come sia possibile che in territorio belga, e più in generale nel mondo occidentale, possano crescere giovani istruiti all’odio e al fanatismo religioso, disposti a uccidere o martirizzarsi. Come dichiarato dagli stessi Dardenne, l’opzione iniziale era quella di raccontare la storia di un ragazzo più adulto. Poi però ha prevalso la considerazione che ragazzini di età inferiore, ovvero non protetti dal più maturo discernimento di un diciottenne, possono essere vittime più ingenue e malleabili da manipolare da parte di ogni genere di propaganda religiosa o politica. La considerazione finale, ricavata dalla visione completa del film, è infatti la riflessione sulla prima adolescenza di ciascuno di noi, di come in Occidente si sia o non si sia riusciti ad arginare le suggestioni di quanto ci accadeva intorno venti, trenta, quarant’anni fa, in epoche fortemente ideologizzate, via via edulcorate dal riflusso e dal nuovo edonismo della fine del secolo scorso, in seguito dissolti prima dagli attentati dell’11 settembre 2001, poi dalla crisi economica tutt’ora in essere. In che misura siamo stati in grado, da ragazzini o da giovanotti, di formularci un’idea nostra sugli eventi politici che hanno accompagnato la nostra crescita, sul crollo delle ideologie, sugli stessi concetti di destra e sinistra, senza subire le pressioni dei potenti persuasori occulti che attraverso i media fabbricano le opinioni di una massa di ‘utenti’ sempre più impulsiva e superficiale, nel nome di una finta libertà e di una democrazia fittizia? Questo è forse il messaggio più duro e scomodo da recepire di L’età giovane, senza naturalmente allontanarsi troppo dal cardine sul quale si dipana la storia che i Dardenne raccontano: il giovane, giovanissimo Ahmed, musulmano e appartenente alla comunità islamica di un piccolo villaggio nei pressi di Liegi, vive nel culto di un cugino ‘martire’ e nell’ideale integralista di una religiosità esclusiva e intollerante che non accetta di aprirsi e convivere con altri credo religiosi, compreso l’islamismo moderato della sua famiglia, o di Madame Inès, la sua insegnante, che vorrebbe organizzare dei corsi di arabo moderno per attualizzare la lingua antica del Corano. Per questa ragione l’imam, figura paterna che ha preso il posto del vero padre del ragazzo da tempo scomparso da casa, considera Inès un’apostata e istiga in Ahmed il progetto di ucciderla. Fortunatamente il suo goffo tentativo va a vuoto, e ha inizio così un periodo di rieducazione diviso tra il riformatorio e una fattoria agricola fuori città dove, seguito da un educatore, Ahmed sembra non desistere dalle proprie convinzioni fondate su un’interpretazione delle parole del Profeta che non lascia spazio ad arrangiamenti e aggiornamenti. Rifiuta il contatto con gli animali, pulisce ossessivamente la manica della sua felpa leccata da un cane, sdegna il bacio di una ragazzina che prova per lui più che una semplice simpatia, e se le labbra di lei riescono ad avvicinarsi furtivamente alle sue, non può che considerarsi lordato da un’impurità che gli allontana il Paradiso…
Senza dire oltre e rischiare di svelare il magnifico, bressoniano finale, è d’obbligo registrare ancora una volta la mano felice con cui i Dardenne ordiscono la messa in scena e istruiscono tutti gli attori, dal giovanissimo Idir Ben Addi, calato nel suo corpo di tredicenne irrigidito e spaventato da ogni impurità o contrattempo che gli impedisca di dedicarsi al rito della preghiera, a Claire Bodson, fragile mamma belga alcolizzata e abbandonata dal marito arabo, cavandone quella spontanea immediatezza indispensabile a un’idea così realistica e radicale di cinema, in grado di aggiungere alla filmografia mondiale di ogni tempo parabole così preziose e necessarie per capire chi siamo e soprattutto cosa fare per non perderci, come le parabole dei Vangeli.
(Le jeune Ahmed); Regia: Luc e Jean-Pierre Dardenne; sceneggiatura: Luc e Jean-Pierre Dardenne; fotografia: Benoît Dervaux; montaggio: Marie-Hélène Dozo, Tristan Meunier; musica: Franz Schubert; interpreti: Idir Ben Addi; produzione: Les Films du Fleuve, Archipel 35; distribuzione: BiM Distribuzione; origine: Belgio, 2019; durata: 84’