L’inferno è una Realtà, la Realtà è un Inferno: Visioni speculari di Scorsese e Lau

“Il peggiore degl’otto inferni è l’inferno continuo. E’ un luogo di incessante sofferenza, e da ciò prende il nome”
Da ciò prende il nome e l’abbrivio Infernal Affairs, un gioco di specchi in cui si riflettono le esistenze parallele di Chan e Lau, imprigionati in quest’ottavo inferno in terra. Appare, appunto, come riflesso in uno specchio il racconto, simile e speculare, di Billy e Colin, protagonisti di The Departed, così come il narrato dei due registi orientali e del maestro Scorsese. Un’affinità che sorprende, sia nella prospettiva del singolo segmento, spiazzante e frastornante, che nella visione comparata, tanto sono simili le due versioni.
E’ però proprio nell’“Inferno” la differenza sostanziale fra la pellicola del 2002 e l’adattamento americano. Il mondo marcio che circonda le esistenze dei protagonisti, nella versione di Hong-Kong, non è la semplice rappresentazione di una realtà corrotta ma la trasfigurazione della concezione stessa dell’inferno. Volontà questa manifesta in ogni scelta stilistica, dalla regia alla fotografia, dalla scenografia al montaggio. Il concetto della suspance hitchockiana, elemento fondante delle spy story, viene superato in Infernal attraverso una sorta di totale sospensione del tempo e dello spazio. L’alienazione provocata dall’ambiente, la spoglia e asettica periferia di Hong-Kong, dalle luci bianche, dai ralenty, dai flash-back astrae lentamente lo spettatore dal contesto, privando di ogni forza quell’ironia drammatica sui cui si fonda l’espediente hitchcockiano. Per converso Scorsese solleva la vicenda dalla pesantezza formale ed espressiva dell’originale velandola di una sottile ironia che priva il racconto di quell’atmosfera grave che caratterizza Infernal. Ancora una volta la forma è sostanza. Le scelte di Mak e Lau trasmettono a pieno la filosofia, prettamente orientale, di un inferno buddista, lontano anni luce dalla concezione cattolica dell’aldilà. Appare dunque ovvio che un autore come Scorsese, un uomo da “domenica in chiesa, lunedì all’inferno”, prenda le distanze da tale concezione. Nonostante infatti il regista di The Departed abbia scelto di ripercorrere, nei momenti cardine della pellicola, la strada segnata dalla coppia di registi orientali, la costruzione interna dei quadri, la luce, la scenografia, e non la posizione della macchina da presa, sottolineano l’intento dell’autore. Non ci sono altre chiavi di lettura, The Departed è un film di genere. Emblematiche, da questo punto di vista, le piccole ma decisive modifiche apportate al soggetto originale della pellicola. In Infernal Chan e Lau sono due facce della stessa medaglia, non importa per chi si combatta, non conta da che parte della barricata ci si trovi. E’ l’apologia dell’eroe orientale, ligio alla propria morale. Un etica privata, interiore, assolutamente indifferente alla morale comune e al bene collettivo. Una visione incompatibile con la concezione manichea che contrappone il bene al male, i buoni ai cattivi. Queste distinzioni sono assenti in Lau e Mak, in Scorsese no. La costruzione interna di Billy e Colin non può prescindere dallo schierare l’uno nelle file degl’eroi, l’altro nei ranghi dei malvagi. Muoversi in un inferno necessita di carisma, animo, fede, fermezza e morale. Il mondo terreno, per noi, è un’altra cosa.
