L’inferno in testa e il paradiso nel cuore

La psicanalisi è quella malattia mentale di cui essa stessa si considera la cura, diceva Karl Kraus. Eppure, ai giorni nostri il divano dell’analista è in forma più che mai: non solo è affollato a causa delle paludate depressioni che sferzano noi post-post-moderni, ma addirittura si presta a diventare materia artistica, setting televisivo e teatrale. Non è di molto tempo fa l’uscita di un telefilm americano, adattato da un originale israeliano, che con una buona dose di sussiego faceva delle sedute d’analisi e del linguaggio psicologico il suo perno. Tra i tanti mali del nostro paese, c’è un merito che - ci pare- non ha mai vissuto momenti d’ombra: raramente l’ingegno italiano si lascia ammaliare dalla dittatura del particolare, dal fascino del settoriale. Sarà per questo, o sarà per la formazione junghiana (tradizionalmente meno schematica) di uno degli autori, il dottor Roberto Fornara, che L’inferno in testa e il paradiso nel cuore ha un respiro e un intento molto più ampio della semplice rappresentazione del mestiere dello psicologo. La scrivania al centro del palco; un analista e il paziente protagonisti quasi esclusivi della scena: l’impianto dello spettacolo non potrebbe essere più schierato ed evidente. Eppure, lo sviluppo del dialogo tra il dottor Fornara (indovinate quale ruolo gli spetta?) e Fabrizio Raggi (il paziente) mostra subito la sua intenzione di muoversi, verrebbe da dire, sub specie aeternitatis: l’apparente confessione di un uomo turbato si annoda con diversi canti della Divina Commedia, trasformando l’angoscia dell’individualità in un cammino universale di scoperta e miglioramento. Del lavoro fatto da autori e regista non si può non apprezzare l’intento costruttivo e propositivo; altrettanto inevitabile, però, è notare quanto spesso il discorso perda le sue qualità dialogiche, a favore di un appiattimento didascalico che, se da una parte lascia piena libertà agli intenti didattici di Fornara, dall’altra strozza ogni pretesa di realismo e incisività teatrale, polifonica. Un buon tentativo, dunque, la cui lacuna più importante è non aver digerito a sufficienza una cifra drammaturgica più flessibile e adatta: varrà la pena di lavorarci.
Con: Fabrizio Raggi, Roberto Fornara, Francesca Viscardi Leonetti, Selene Gandini, Mario Fedele, Marta Meneghetti, Matteo Spiazzi Scenografia: Alessio Pierro Musiche: Luigi De Carolis Costumi: Ricchezza Falcone Regia: Fabrizio Raggi
