L’ULTIMO RE DI SCOZIA

’Un uomo forte fa un popolo debole. A un popolo forte non serve un uomo forte’.
[Marlon Brando in Viva Zapata!]
Sudato, mastodontico, grasso e dal passo ciondolante, il presidente Idi Amin, alias Forest Whitaker, entra in campo di spalle su un palco in un paesino sperduto dell’Uganda del 1971. Ha appena compiuto, grazie al sostegno dell’esercito britannico, un colpo di stato che insedia i militari al potere con l’avallo e l’iniziale entusiasmo dell’Occidente. L’ex campione di boxe divenuto tenente dell’esercito, ben presto, come nelle migliori democrazie nate dalle ceneri di sanguinose dittature, si rivelerà un monarca assoluto e peggiore del precedente, si scoprirà sanguinario e crudele, abile manovratore di sudditi, portaborse e viscidi consiglieri. Come nella parallela storia della Rhodesia il salvatore-dittatore Mugabe che, dopo averla liberata dall’apartheid, trasforma il paese nello Zimbabwe, ma continua da oltre venti anni a seminare fame e morte, dando asilo politico e passaporto diplomatico a un dittatore come l’etiope Menghistu. Regimi che non nascondono nefandezze, che non si celano dietro pizzini e appoggi celati dai colletti bianchi, ma che esplodono in palesi violenze frutto di un super-ego votato al potere e alla follia di chi lo esercita. Questo era Idi Amin, morto in esilio nel 2003 in Arabia Saudita, un folle che si circondava di lussi e di svaghi occidentali, auto e ville, fastosi ricevimenti e un’ironia cinica che sfoggiava nelle uscite pubbliche. Un personaggio perfettamente incarnato da Whitaker, il cui occhio iniettato di sangue vale più di molti dialoghi, la cui presenza scenica rivela una mimesi sottile e dolorosamente violenta. Un personaggio che avrebbe potuto anche giustificare forzature di recitazione nella direzione di un gigionismo che manca, che forse non sarebbe risultato eccessivo, ma che nulla toglie alla resa sullo schermo di colui che si era auto-proclamato l’Ultime Re di Scozia.
Una vicenda raccontata come un climax verso il tunnel della follia, vista attraverso lo sguardo e il crescente terrore di Nicholas, un medico neo-laureato scozzese, interpretato dal giovane James McAvoy penalizzato dal confronto con il gigante nero Whitaker e da una fastidiosa, involontaria somiglianza fisica e non solo con Silvio Muccino. Un medico che, giunto nel paese africano più per soddisfare una curiosità da mito del buon selvaggio che dal richiamo del Mal d’Africa, resterà vittima del fascino magnetico e della capacità di manipolazione mentale del Re Sole sanguinario, che lo eleggerà a suo medico personale e, di fatto a suo consigliere occulto e amico. La perdita dell’innocenza del medico è la tragedia di un’Africa in balia di una micro-oligarchia in cui tutto cambia per rimanere uguale.
Un buon risultato raggiunge l’applaudito documentarista e giornalista Kevin Macdonald (One day in September, premio Oscar nel 2000), evitando la facile agiografia e tessendo la lenta tela della follia rivelata attraverso piccoli riflessi di sguardo, fatti storici documentati e momenti privati, che rimandano lontanamente all’approccio del brasiliano Barreto. La macchina a mano risulta padrona dello stile, debitore della matrice documentaristica, a volte risalta l’uso eccessivo di brevi, fulmicotonici zoom ravvicinati sui volti dei due protagonisti speculari della vicenda, senza che ledano alla sostanziale forza che mescola il realismo della vicenda al tragico surrealismo del personaggio.
(The last king of Scotland) Regia: Kevin Macdonald; soggetto: liberamente tratto dal romanzo di Giles Foden; sceneggiatura: Peter Morgan, Jeremy Brock; fotografia: Anthony Dod Mantle; musiche: Alex Heffes; scenografie: Michael Carlin; interpreti: Forest Whitaker (Idi Amin), James McAvoy (Nicholas Garrigan), Kerry Washington (Kay Amin), Gillian Anderson (Sarah Merrit); produzione: Andrea Calderwood, Tessa Ross per la Fox Searchlight; distribuzione: 20th Century Fox; durata: 121’; origine: UK 2006; web info
