L’ULTIMO SAMURAI

Forse è un po’ azzardato andare a leggere sotto lo smagliante e in fondo anacronistico fulgore epico sfoderato da Edward Zick nella sua trasferta giapponese un messaggio in codice rivolto al ladro texano invischiati in guerre di conquista non dissimili da quelle in cui sono impegnati i baldi ufficiali a stelle e strisce sterminatori di indiani, o gli abili diplomatici foraggiatori di armi al trono Meiji verso la fine dell’800. Però la tentazione c’è, soprattutto quando l’eroe cruisiano di turno è un soldato-antropologo sempre in cerca di contatti con l’altro da sé, siano gli ammirati pellerossa che è costretto ad ammazzare o i superstiti samurai con cui impara a convivere e infine combattere. Il modello è evidentemente il Costner di Balla coi lupi, oltre che - come precisa il titolo - l’Hawkeye di Michael Mann che lotta al fianco dell’ultimo mohicano Chingachgook come Nathan Algren insieme all’estremo samurai Katsumoto, e (risalendo nel tempo) il Lawrence di Peter O’Toole. Insomma guerrieri umanisti e idealisti, esatti contraltari alle macchine da guerra esaltate dallo stato maggiore americano, totalmente estranee a modi e cultura dei paesi invasi (per liberarli, o colonizzarli, o entrambe le cose insieme). Quello che preme raccontare a Zwick nelle sue immagini piene e pittoricamente composte (secondo la lezione di David Lean, opportunamente contaminata con le derivazioni kurosawiane) è proprio il percorso del capitano Algren nella propria identità, dalla crisi alcolica durante cui lo incontriamo - ridotto a fare il Buffalo Bill circense al soldo della Winchester - alla purificazione nel sangue fino alla riscoperta di sé tramite la conoscenza dell’altro, del nemico fraterno, risolta nella più classica delle progressioni drammatiche: diffidenza, scontro, apprendimento, integrazione, rispecchiamento. Nell’Ultimo samurai si sta tranquilli, tutto quello che ci si può aspettare in tema di incontri tra culture, oriente e occidente, tradizione e futuro, è offerto con piacevole abbondanza: katane vs mitragliatrici, pragmatismo vs spiritualità, i turgori melodrammatici degli archi di Zimmer ibridati coi tuoni sacrali dei Taiko tradizionali nipponici, e le ampiezze verdeggianti del Giappone ottocentesco ritrovate nella nuova terra promessa del paesaggio su pellicola, la Peter Jackson Land. Se non bastasse, la folgorazione sulla via della spada di Algren (cui richiama il San Paolo caravaggesco che campeggia nello studio di Omura) è didascalizzata dal diario letto in voice over, e dalla cornice fornita dalla voce narrante di Simon Graham (l’eccentrico fotografo e interprete vittoriano, altra faccia dell’occidentale perso in Sol Levante, personaggio purtroppo poco approfondito) che si occupa di integrare storia e leggenda. Tale impostazione bignamesca non intacca il piacere della visione, dalla prima cavalcata dei ribelli nel bosco nebbioso fino all’ultima carica - tra le Termpopili e Balaklava - che rende i dovuti onori al senso della sconfitta e della morte senza peraltro avere il coraggio di mandare a morire anche il bel Tom, come sarebbe stato logico, pur di non togliere alle platee planetarie la consolazione dell’idillio di Nathan e Taka, porto di pace per lo stanco combattente dei due mondi.
[gennaio 2004]
Cast & credits:
(The Last Samurai)
Regia: Edward Zick; sceneggiatura: John Logan, Edward Zick, Marshall Herskovitz; fotografia: John Toll; montaggio: Steven Rosenblum, Victor du Bois; musica: Hans Zimmer; interpreti: Tom Cruise, Watanabe Ken, Timothy Spall, Billy Connolly, Tony Godwin, Sanada Hiroyuki, Koyuki; produzione: Radar Pictures, Bedford Falls Company, Cruise-Wagner; origine: USA 2003; durata: 153’. distribuzione: Warner Bros. Pictures Italia
