La chiave di Sara

Possono gli avvenimenti del passato aiutarci a comprendere meglio chi siamo, da dove veniamo ma, soprattutto, farci riflettere su cosa avremmo fatto se anche noi ci fossimo trovati a vivere determinati eventi? Spesso risulta difficile per una nazione ricordare, guardarsi allo specchio ed analizzare i propri errori e le proprie responsabilità con coraggio e, cosa ancor più difficile, senza perdere lucidità ed obiettività. Raccontare una pagina nera della storia del proprio paese, senza cadere nella scontata tentazione di prendere una posizione netta, può rivelarsi assai complicato; il regista francese Gilles Parquet-Brenner, tuttavia, riesce appieno nel suo intento di narrare l’Olocausto con toni appassionati ma con sguardo obiettivo, realizzando un’opera dalla solida struttura narrativa e ricca di struggente lirismo.
Tratto dall’omonimo romanzo bestseller di Tatiana De Rosnay, La chiave di Sara ripercorre la storia di Julia Jarmond, una giornalista americana residente in Francia da vent’anni, che conduce un’inchiesta sui terribili fatti del Velodromo d’Inverno, dove vennero ammassati oltre diecimila ebrei parigini prima di essere deportati nei campi di concentramento nazisti. Mentre ricostruisce i fatti, Julia scopre che la famiglia di suo marito possiede la casa che sessant’anni prima era stata la dimora della giovane Sara Starzynski e della sua famiglia, prima che tutti fossero catturati dai gendarmi francesi che collaboravano con la Germania nazista. Tale scoperta cambierà letteralmente la vita della giornalista, che fa di questa vicenda una questione personale; tutto ciò proprio nel periodo in cui rimane incinta del marito che, però, non vorrebbe che lei portasse avanti la gravidanza.
La pellicola è sospesa su due piani temporali che vanno idealmente ad intrecciarsi, fondendo un dramma antico ed uno moderno; ai flashback, che svelano gli eventi che portarono Sara ad evadere dall’incubo della deportazione ed a tentare di rifarsi una vita, si alternano le fasi nel presente che seguono gli sforzi di Julia per scoprire il destino della bambina. Opportuna e funzionale allo sviluppo narrativo la scelta di differenziare, attraverso la fotografia, le due epoche storiche: una sorta di viraggio sul seppia per le vicende di Sara, quasi per rappresentare in modo meno crudo l’orrore che prende corpo attraverso gli occhi della bambina, ed invece immagini molto nette ed asciutte per l’indagine di Julia, come per simboleggiare un’esigenza di vivida razionalità a cui affidare la rivelazione di verità anche terribili.
Il ritmo del film nella prima parte è piuttosto sostenuto, nell’intento di tratteggiare con toni più incalzanti la strenua lotta per la sopravvivenza da parte della piccola Sara; nella seconda parte, invece, prevalgono atmosfere più rarefatte, più appropriate per rappresentare i momenti di forte tensione emotiva che accompagnano le fasi conclusive dell’indagine di Julia. Per quanto concerne il cast, l’interpretazione di Kristin Scott Thomas è di notevole livello poiché riesce a donare al suo personaggio sobrietà, eleganza ed una malinconia di fondo che assume, peraltro, sfaccettature variegate nel passaggio dal sospetto alla consapevolezza. La piccola Melusine Mayance poi, nel ruolo di Sara, risplende di luce propria grazie ad una recitazione spontanea e sofferta, che riesce a rappresentare il tormento di una bambina costretta a maturare rapidamente per non soccombere ai demoni celati sotto sembianze umane.
La chiave di Sara è un film ben scritto e ben diretto, che affronta un tema molto delicato con un approccio equilibrato, che non indulge nel rappresentare la disperazione ma esalta l’importanza del ricordo e della consapevolezza, che commuove intensamente senza mai scadere nel sentimentalismo. Un’opera coraggiosa ed originale che fa breccia nelle coscienze e che dimostra come la costruzione di un presente più giusto e solidale passi inevitabilmente attraverso la conoscenza piena del passato. Costi quel che costi.
(Elle s’appelait Sarah) Regia: Gilles Paquet-Brenner; sceneggiatura: Serge Joncour, Gilles Paquet-Brenner; fotografia: Pascal Ridao; montaggio: Hervè Schneid; musica: Max Richter; scenografia: Francoise Dupertuis; interpreti: Kristin Scott Thomas (Julia Jarmond), Melusine Mayance (Sara), Niels Arestrup (Jules Dufaure), Frederic Pierrot (Bertrand Tezac); produzione: Hugo Productions, Studio 37, TF1, France 2 Cinéma; distribuzione: Lucky Red; origine: Francia; durata: 111’.
