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La fidanzata di papà

Pubblicato il 20 novembre 2008 da Alessandro Izzi
VOTO:


La fidanzata di papà

Più che una recensione, una serie di considerazioni sparse. A questo ci spinge la visione dell’ultima fatica di Enrico Oldoini con Massimo Boldi. Anche perché è lo stesso film a non muoversi secondo i canoni di una narrazione lineare preferendo, piuttosto modellarsi sull’avanzare blobbesco di una serie di gag comiche che a stento trattengono, nella successione, l’idea di un racconto.
La fidanzata di papà è un affastellarsi di situazioni, un rincorrersi di siparietti che non cerca la continuità e l’ampia struttura, ma che si accontenta di bruciare il suo presunto effetto comico (tutto da verificare dal momento che il film è, invece, di una noia mortifera) nel momento, nell’hic et nunc della sua fruizione in sala. Un vero e proprio zapping tra varie possibili coniugazioni del verbo ridere che non si ferma di fronte a nessuna possibilità, costeggiando tutti i generi possibili nel bisogno di un’ibridazione che nasconda la sostanziale mancanza di idee.
Il film di Oldoini è, sin dalla fase di sceneggiatura, l’esito di una sorta di deflagrazione narrativa.
Una bomba è esplosa nella casa del racconto tradizionale ed ha lasciato, al suo posto, niente più che macerie che a stento ricordano le architetture dell’edificio preesistente. Ci riconosci, tra le rovine, lo spazio cucina e la camera da letto, il bagno (dove il Boldi/cartoon è affetto dal consueto “cagotto” che ci propina da venti anni a questa parte) ed il soggiorno, ma non puoi più camminarci dentro, non puoi attraversarlo e viverlo come l’esperienza di una narrazione coerente. Il film ha un inizio, un centro ed una fine, ma questo è tutto ciò che resta della casa/storia: gli unici riferimenti per una progressione lineare che è spesso smentita, lasciata indietro. Le gag sono a tal punto autosufficienti che finiscono laddove le chiude lo stacco di montaggio senza riverberarsi sul resto del racconto. In una gag Boldi, Izzo e Salvi vestiti da nurse d’ospedale improvvisano un paradossale scambio delle culle e la loro azione non produce nessun effetto sul racconto. Non vengono arrestati per il loro folle gesto, né rimproverati da un macchiettistico direttore d’ospedale. I bambini vengono restituiti ai loro rispettivi genitori nello spazio dell’ellissi e nell’inquadratura successiva i baldi tre sono a casa come niente fosse successo.
Ora il film comico è fatto di assurdità che il pubblico è chiamato a “bersi” senza porsi uno straccio di perché, ma l’universo abnorme che ospita il racconto deve avere una sua regola interna, deve essere governato da sue leggi peculiari che lo spettatore possa riconoscere, se non si vuole che tutto giri a vuoto. La carambola di situazioni di La fidanzata di papà si smarrisce, quindi, nella sua assenza di premesse. Il film si perde prima ancora di prendere corpo perché è frutto svogliato di una società svogliata. Richiede al suo pubblico quello che proprio il pubblico richiede a gran voce: una visione distratta.
A questa considerazione “interna” e tutta riferita al mero gesto del narrare se ne aggiunge un’altra "esterna" riguardante le contingenze produttive. Ci si è accorti, infatti, che il cinema italiano non può vivere del solo introito del cinepanettone, ma si è trovato come alternativa a quel colosso di incassi, oltre al filone giovanilistico già in via d’esaurimento, solo un suo pallido clone. Un film come La fidanzata di papà vive per il solo fatto che non ci sono in giro altre possibili alternative. Il pubblico sembra aver perso il bisogno di cercarle, i produttori non trovano utile rischiare di svegliare quel bisogno ed a registi ed attori non resta che seguire i dati della formula per pervenire ad una soluzione già data.
Di mezzo in questa corsa al ribasso ci si è messa anche la critica specializzata che, riscoprendo il valore sociologico dei film di Alvaro Vitali ha dato la stura a quella presupponenza sotterranea, tipicamente italiana, secondo la quale se Pierino non è brutto allora lo si può accostare senza rossori a Il settimo sigillo. Un equivoco risibile perché dire che i film di Pierino avevano un senso nella società che li ha prodotti non significa necessariamente dire che fossero belli.
Così La fidanzata di papà si inquadra nel contesto del revival settantesco dei Vanzina. È un film di consumo che i critici riscopriranno tra dieci/venti anni. Qualcuno, per avvantaggiarsi il lavoro, lo sta facendo già ora salvando il salvabile con argomentazioni francamente ridicole. Ma, del resto, si sa, fa tanto “critico serio ed aggiornato” parlar bene di film che, in fondo, citano addirittura la commedia dell’arte e i grandi capolavori del cinema del passato. Senza dimenticare che, tra le risate, questi prodotti son spesso zeppi di buone intenzioni. Qui si parla, infatti, di razzismo, di coppie multietniche (ma che consumano solo fuori del racconto, nel preambolo non filmato, ma solo raccontato).
E al centro di tutto questo, per dirla con le parole del nostro Presidente del consiglio in vena di cabaret, c’è solo un bambino sano, sorridente ed abbronzato. Lungi da noi voler accostare la sagace battuta del politico a questo film (ma quel padre diventato di colpo famoso e che non può essere nominato, pena querele, non potrebbe essere proprio Obama?), ma ci pare che la grana dell’umorismo sia decisamente la stessa. Che dire, quindi, in conclusione? Forse che anche La fidanzata di papà ha, in fondo, il suo valore sociologico. Ci dice che siamo tutti figli di questo tempo: razzisti, ma di buon cuore. Italiani brutta gente.


CAST & CREDITS

(La fidanzata di papà); Regia: Enrico Oldoini; sceneggiatura: Enrico Oldoini, Paolo Costella; fotografia: Gianlorenzo Battaglia; montaggio: Mauro Bonanni; musica: Alessandro Molinari; interpreti: Massimo Boldi (Massimo), Simona Ventura (Angela), Enzo Salvi (Eros), Biagio Izzo (Maria), Elisabetta Canalis (Felicity), Aurora Quattrocchi (Zi Carmelina), Nino Frassica (Nino), Martina Pinto (Barbara), Max Cavallari (Max), Bruno Arena (Bruno), Teresa Mannino (Luminosa); produzione: Medusa Film in collaborazione con SKY; distribuzione: Medusa Film; origine: Italia, 2008; durata: 89’


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