La grande bellezza – Versione integrale
È un film sulla morte, oltreché sulla vita, l’opera più famosa di Paolo Sorrentino; e un’esplorazione dell’estetica dell’audiovisivo per il più estetizzante tra i cineasti italiani dell’ultimo ventennio, nella sua carriera così spesso dell’estasi alla ricerca.
È una pellicola divisa tra cinema e teatro: come sfondo Roma, la sua Storia, il suo presente, ombelico dell’Italia in cui tanti italiani vanno a rifugiarsi, in cerca di un posto sotto il sole di salotti più o meno buoni, memori magari degli anni ruggenti dei circoli intellettuali che, decadi fa, infiammarono la penisola, movimentandone la vita culturale.
La grande bellezza: un’indagine su Quer pasticciaccio brutto chiamato ’essere umano’, in Viaggio al termine della notte, gaddiana confusione di liberatorio linguaggio non lontana – Via Merulana – dall’abitazione di quel Jep Gambardella con vista sul Colosseo, una terrazza che tanta Scola ha fatto, di una vita che non sempre è dolce come apparire potrebbe.
Jep Gambardella: da giovane promettente romanziere, specializzato sul lato sentimentale di una vita nell’arte letteraria da restituire, dalla provincia a Roma giungendo, giornalista di costume e critico teatrale diventato, stella indiscussa delle notti romane, in ogni caso sempre osservatore dell’umana fauna. Un D’Annunzio dei giorni nostri, se non giusto una caricatura del Vate, Jep col suo decadente dandismo, un cinico sentimentale di oramai sessantacinque anni che il percorso inverso rispetto allo scrittore pescarese ha percorso: sempre sì dalla provincia meridionale fin nella Città Eterna, procedendo però dalla scrittura creativa a quella professionale, probabilmente perdendosi e qualcosa di sé perdendo, negli anni, malgrado acuminata si sia fatta la caustica penna sua dalla sferzante ironia.
Un Andrea Sperelli oltre un secolo dopo, il Gambardella: un dandy sì, colto però nella terza fase della sua esistenza, diversamente dal ben più giovane protagonista del dannunziano Il piacere; ma entrambi accomunati dalla fine di un amore, simile nel nome, abbandonato Andrea da Elena mentre Jep da Elisa, ambedue ancora ragazzi (appena ventenne Jep, il quale solo in seguito si trasferirà a Roma). E sarà proprio la notizia della morte di Elisa - Madeleine di Proustiana memoria - a lasciare affiorare nella mente del maturo uomo ricordi e speranze di giorni lontani, permettendo alla crisi di un individuo e di un artista di emergere in tutta la sua forza, circondato da una generazione di over 50 «Sull’orlo della disperazione», dando vita Sorrentino a un flusso di coscienza in stile 8½, ove però il flusso è una Roma coi suoi personaggi che investe la mente di Gambardella, mantenendo La grande bellezza il registro grottesco che Fellini aveva posto in particolare nel film con protagonista il suo alter ego, il regista Guido Anselmi. Mentre ricordi e pensieri affiorano alla mente di Gambardella come il suo capo affiora dalle acque del mare nel quale un tempo si era tuffato, con tutta la sua giovinezza.
Laddove nel 1960, in pieno boom economico, Marcello Rubini, il protagonista della felliniana La dolce vita, è un giornalista romano che si occupa di servizi scandalistici, al centro della mondanità, eppure comprimario, nel mentre aspirando però a diventare romanziere. Un film, quello dell’autore romagnolo, che consta anch’esso di una struttura per episodi, con una carrellata di personaggi che diventerà marchio di Fellini: tutt’altro che dissimile, quindi, da La grande bellezza, con il film di Sorrentino (napoletano trasferitosi a Roma così come fecero D’Annunzio e Fellini, questi ultimi dalla provincia) che, in questa riedizione in versione integrale, con il ripristino di 31 minuti di scene inedite giunge a 173’ totali, avvicinandosi tantissimo alle tre ore di durata de La dolce vita.
Un prigioniero Jep, di una città bellissima per quanto decadente, persa tra Sacro e Profano, così come quella de La dolce vita: Jep che vive e lavora esclusivamente a Roma, personaggio di un palcoscenico teatrale, lui critico tra l’altro proprio di performance teatrali; così come un po’ si comportava Federico Fellini nella vita e soprattutto nel lavoro, quando elesse il Teatro 5 di Cinecittà a luogo privilegiato ove esprimere la propria creatività, ricreandovi gran parte dei suoi set e del mondo che ha portato poi sullo schermo. Mentre Jep, giunto al termine del suo percorso di crescita, uscirà da Roma, seguendo il consiglio di Dadina (sua amica, oltreché direttrice della rivista per cui scrive), occupandosi del naufragio della Costa Concordia presso l’Isola del Giglio: e, guardando il relitto di quella gigantesca nave da crociera – luogo del divertimento e dell’effimero anche, nella realtà diventata purtroppo prigione di una strage – adagiata su di un fianco nel Mar Tirreno, Jep penserà nuovamente alla propria giovinezza e all’amore verso Elisa, trovando possibilmente lui la forza di rinascere, come artista e come uomo. Così come si conclude in riva al mare La dolce vita: sempre il Mar Tirreno, a Fregene, a pochi chilometri da Roma quindi; e soprattutto presente è sempre un relitto, ossia la carcassa di un’enorme manta, ritrovata all’indomani di uno dei tanti party cui ha partecipato Marcello Rubini. Marcello e Jep: entrambi, come Roma e l’Italia, cattolicamente presi tra sacro e profano, tra depravazione e innocenza. Mentre ancora l’acqua domina l’epilogo de La grande bellezza giacché, mentre scorrono i titoli di coda, la macchina da presa naviga lentamente lungo il corso del Tevere, passando al di sotto dei suoi ponti storici, a raffigurare dei carrelli cinematografici che potrebbero – perlomeno riguardo il protagonista – rappresentare finalmente qualcosa di tangibile: una meta, un obbiettivo e non più quindi uno di quei trenini che hanno dominato le feste di Jep; forse addirittura bei trenini, ma che di sicuro non portano a nulla (come dichiarato dal Lello Cava interpretato da Carlo Buccirosso).
Una lotta tra cinismo e sentimento, galanteria e volgarità, sesso e amore, bellezza e squallore, sogno e delusione, giovinezza, vetustà e decadenza (esplicitata per esempio attraverso le vicende dei Principi Colonna di Reggio); e tra nichilismo, misantropia, cinismo, pessimismo e romanticismo (come sottolineato dalla presenza di una copia di Padri e figli di Turgenev, romanzo la cui importanza per il film va al di là del dettaglio del rapporto tra il suicida Andrea con la madre Viola e con Jep medesimo). Tutto questo è La grande bellezza: terra di ossimori, lungo statico carrello che si dipana tra svariati quadri a un’esposizione in una Roma e tra romani che appaiono felliniamente comunque alquanto cafoni, oltreché tristi e con quella certa malinconia da fine impero, delineati da Sorrentino non tanto attraverso un tono accusatorio, quanto ironico e iconico.
Le versione integrale de La grande bellezza non aggiunge più di tanto a quella uscita in sala tre anni fa e che tanti premi ha raccolto in giro per il mondo, se non per quanto riguarda un discorso legato alla durata e che concerne la vita come la sua rappresentazione attraverso il cinema. Tale mezz’ora in più di scene e inquadrature non solleva le sorti di un film che tanto ha fatto discutere, riportando giudizi opposti ma che – a nostro parere – malgrado i grandi sforzi apparentemente profusi da chi vi ha lavorato, non brilla in modo costante, risultando un’opera media, senza particolari illuminazioni, molto costruita e pure alquanto ’furba’ nel suo gioco tra anti-elitarismo ed estetica cinematografica, incapace in ogni caso di lib(e)rarsi in volo.
Tra le scene reintegrate quella che più fa sentire la propria forza all’interno del film vede coprotagonista Giulio Brogi nei panni di un anziano maestro del cinema italiano che, intervistato da un ammirato Jep, parla dei rapporti tra cinema e vita e della strada della semplicità, ricordando la meraviglia provata quando, da bambino, assistette alla posa della prima lanterna semaforica a Milano, nei pressi del Duomo, circondato da tante altre persone, anche loro incantate da quelle luci.
FOTOGALLERY
(id.); Regia: Paolo Sorrentino; sceneggiatura: Paolo Sorrentino e Umberto Contarello; fotografia: Luca Bigazzi; montaggio: Cristiano Travaglioli; musica: Lele Marchitelli; interpreti: Toni Servillo (Jep Gambardella), Carlo Verdone (Romano), Sabrina Ferilli (Ramona), Carlo Buccirosso (Lello Cava), Iaia Forte (Trumeau), Pamela Villoresi (Viola), Galatea Ranzi (Stefania), Franco Graziosi (Conte Colonna), Giorgio Pasotti (Stefano), Massimo Popolizio (Alfio Bracco), Sonia Gessner (Contessa Colonna), Anna Della Rosa (Ragazza esangue), Luca Marinelli (Andrea), Serena Grandi (Lorena), Giusi Merli (La Santa), Giovanna Vignola (Dadina), Ivan Franek (Ron Sweet), Vernon Dobtcheff (Arturo), Dario Cantarelli (Assistente della Santa), Lillo Petrolo (Lillo De Gregorio), Luciano Virgilio (Alfredo), Anita Kravos (Talia Concept), Massimo De Francovich (Egidio), Roberto Herlitzka (Cardinale Bellucci), Isabella Ferrari (Orietta), Giorgia Ferrero (Ammiratrice di Jep), Giulio Brogi (il Maestro del cinema), Giulia Di Quilio (Donna della coppia esibizionista), Fiammetta Baralla (Madre di Ramona); produzione: Indigo Film, Medusa Film, Babe Films, Pathé Pictures e France 2 Cinéma; distribuzione: Indigo Film, Medusa Film, Nexo Digital in collaborazione con Sky Cinema HD (Riedizione 2016); origine: Italia e Francia, 2013; durata: 173’.