La loro (quasi) inesistente ricerca di bellezza
Almeno Gambardella, a modo suo, la bellezza la cercava. Lo diceva quel suo sguardo spento sulle sue abitudini, sempre annoiato e deluso dagli inutili chiacchiericci e dai rimbombi volgari delle terrazze romane, di notti sempre uguali. Col tempo aveva capito che quel discorso di far saltare le feste, per sentirsi importante, era una bella cavolata, e stancamente si arrabbiava con chi di menzogne viveva: l’artista fasulla che dava capocciate contro l’acquedotto romano, o l’amica che narrava di se stessa una storia parziale, monca, solo positiva, una costante mezza bugia. In Loro1, di persone che cercano la bellezza, intesa anche come verità - quella che dà pace all’anima - quasi non v’è traccia. Non la cerca Berlusconi, ovviamente, che al nipote spiega come il contenuto non conti: solo le emozioni che trasmetti all’interlocutore valgono. Se pesti una cacca, e la cosa è chiara agli occhi e al naso di chi ti sta di fronte, hai il potere di far cambiare idea a chi soffre la tua puzza: puoi convincerlo che quella penzolante dalle tue suole, è una zolla di terra e nient’altro. Questo consiglio, questo segreto, questa strategia, è ciò che insegna il Berlusconi di Sorrentino/Servillo al nipotino che si gode il sole e l’eleganza di Villa Certosa. La bellezza, la verità costruttiva nel rispetto dell’altro, è del tutto inutile per “lui”: così viene chiamato Berlusconi per almeno metà film. E inutile, la bellezza, intesa anche come relazione armoniosa, umana, è anche per i suoi schiavi - arrivati o ancora aspiranti - che questa prima parte di film racconta. Tutti vittime oltreché colpevoli, tutti perduti nei loro occhi a volte brillanti e senza vita come quelli di androidi. Non cerca la bellezza il Sergio Morra mezzo disgraziato e viscido di Riccardo Scamarcio, cocainomane e pappone arrivista. Ricorda Gianpaolo Tarantini e punta verso Roma dalla provincia pugliese con sua moglie Tamara (Euridice Axen), pure lei impaludata con l’idolo del denaro e delle amicizie che contano. Vogliono portare a “lui”, al re che garantisce sogni facili e banali, seducente carne umana che lo incuriosisca e lo faccia anche sorridere. Impiegano tutto il denaro accumulato col gioco del corpo offerto al potere in cambio di favori, per organizzare una festa di fronte a villa Certosa, affinché lui si accorga del gran carnaio nudo e segni in agenda il nome di tale Sergio Morra. Solo a delirio finito, quando le giovani membra sono cadute esauste per la stanchezza e per il gran consumo di droga, i due coniugi ormai allo sbando - che non hanno notato alcun cenno di interesse da parte di Berlusconi - forse per la prima volta consapevoli della loro condizione, si tuffano in piscina e fanno l’amore dicendosi «ti amo». Chissà se hanno capito, se d’ora in poi mostreranno la minima attenzione a loro stessi e ai loro figli abbandonati a quattro sofficini e nulla più? Del resto Loro1 abbonda di figli trascurati: ce n’è uno quasi adolescente che gira col triciclo in una casa di persone potenti in ottimi rapporti con “lui”; gente che del “pupo” si accorge solo quando questo disturba i loro progetti e le trame di scalata al vertice del potere. Ma se provano a dirgli di piantarla, l’adolescente/bimbo li manda violentemente e rabbiosamente a quel paese. Potenti e fragili, che fanno paura e quasi pena, che seguono sentieri impervi eppure sono ciechi, che hanno grandi possibilità eppure sono sterili: questo sono “loro”, forti nelle stanze del potere e deboli in privato, davanti ai figli o alle mogli come Veronica Lario (Elena Sofia Ricci), che accusa Silvio di continuo: «Non mi fai ridere neanche un po’», gli sputa in faccia di prima mattina, al contrario degli ammiratori, dei seguaci, degli aspiranti ingenui e tristi sognatori, tutti fuori da un privato che tocca la verità, che illumina la piccolezza. Gli idolatri si nutrono di un’immagine, di un miraggio e nuotano in una corrente che li imprigiona. Lo confessa, in un attimo di fuggente verità, la Kira di Kasia Smutniak che ricorda l’ape regina Sabina Began: proprio a Sergio Morra spiega quanto sia «dura la vita quando non sai fare un cazzo», e quanto il padre dello stesso Morra, piccolo imprenditore rispettoso delle leggi e del prossimo, si sarà conquistato il dono, alla fine della sua vita, di poter dire «sono stato onesto e coerente». E’ un personaggio, quest’ultimo, lontanissimo da quello forse più repellente e mostruoso del film: il Santino Recchia di un bravo Fabrizio Bentivoglio, politico senza ideali e senza dignità, che sbava per la moglie di Morra forse solo perché non è ancora riuscito a possederla, nonostante i regali costosi fatti comprare dai carabinieri della scorta. A preda conquistata, goffamente e con violenza, Santino viene ricattato e allora striscia verso il capo segretamente tradito, in cerca di “salvifica” protezione. Solo che “lui”, al sicuro sulla vetta della catena alimentare, è ben felice di sbranare gustosamente l’ingrato sottoposto. Ecco l’esplosione e il trionfo del Berlusconi pubblico, perfetta immagine di quel potere che domina i rapporti umani e di cui Sorrentino va da tempo narrando. Della sua forza, delle sue regole, si accorge un potenziale cercatore di bellezza nel film, quello che pare un principiante annusatore di verità: una giovane ragazza che studia lettere e vorrebbe fare l’attrice, anche se non capisce la differenza che passa tra cinema e fiction televisiva. È nel gruppo di ragazze ingaggiate da Morra per arrivare a “lui”, ma nel suo sguardo indecifrabile, distante e misterioso, sembra affiorare un desiderio remoto, embrionale, sottilissimo, diverso da quello collettivo che abbaglia il girotondo tutt’intorno. Quando le viene chiesto di servire un potente che chiamano «dio», uno che nessuno ha visto mai in faccia, e che a tutti incute timore, la ragazza si presenta a lui spogliata e lo trova con un asciugamano sulla faccia e un altro che gli nasconde i genitali. Egli spiega che se uno dei due teli dovesse cadere, la ragazza ne risponderebbe, e lei, che vorrebbe scoprirgli e accarezzargli il viso, in cerca di un barlume di relazione umana, di occhi negli occhi e sguardo alla pari, decide, probabilmente per timore, di sottomettersi a quel “dio” e accarezza sotto l’altro asciugamano. La ritroviamo che balla nella festa organizzata da Morra con lo sguardo ancora altrove. Non sappiamo se quella che abbiamo interpretato come sua ricerca di bellezza è ancora in atto, o se il suo tentativo si è smarrito sul nascere, spazzato via dalla corrente, dalle leggi e i rapporti che dominano il tempo decadente raccontato da questo bel primo mezzo film di Paolo Sorrentino.
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