La mia vita da Zucchina
Grandi occhi osservano il mondo, un filtro che separa il mondo interiore da quello esteriore: sono gli occhi di Zucchina e di tutti i bambini dell’orfanotrofio che hanno conosciuto presto il dolore del mondo adulto, in un’esistenza che alterna il bene all’ingiustizia e alla violenza.
La mia vita da Zucchina alla sua uscita nelle sale francesi nelle sole prime due settimane ha raccolto oltre 340 mila spettatori con un incasso di 2 milioni di euro, questi i numeri del film di Claude Barras, gioiello di animazione francese che si preannuncia come uno dei più grandi successi dell’anno. Presentato a Cannes alla Quinzaine des Réalisateurs, e vincitore al Festival di San Sebastian e al Festival di Annecy, candidato al Lux Film Prize e in nomination agli European Film Awards, potrebbe essere la sorpresa agli Oscar 2017.
Ma i numeri eccezionali del film non si fermano qui: realizzato in stop motion, il film ha richiesto 2 anni di lavorazione, circa 60 set costruiti e dipinti artigianalmente, illuminati dal direttore della fotografia David Toutevoix, la realizzazione di 54 pupazzi alti 25 cm costruiti in schiuma di lattice, silicone, resina e tessuto per i vestiti. Una tecnica artigianale, fotogramma per fotogramma, dura e faticosa, affidata al mago dell’animazione Kim Keukeleire, che ha all’attivo capolavori come Fantastic Mr Fox di Wes Anderson e Frankenweenie di Tim Burton.
È il regista Claude Barras a credere da subito nella forza del romanzo di Gilles Paris da cui il film è tratto, un delicato racconto di formazione che lo riporta alla sua infanzia e alle atmosfere di film che lo hanno segnato come I 400 colpi di Truffaut, Bambi o Heidi.
Già nel 2010 Barras realizza il cortometraggio Courgette, ma è l’incontro con Céline Sciamma a essere decisivo: sceneggiatrice e regista di Tomboy, capace di raccontare con un misto di grazia e durezza le difficoltà di diventare adulti, la Sciamma apprezza da subito la semplicità della storia e si lancia con coraggio nella sfida di raccontare esperienze drammatiche rivolgendosi a un pubblico di bambini.
È così che nasce la storia di Icaro, un bambino di nove anni soprannominato Zucchina che, rimasto solo dopo la morte della madre, viene portato all’ orfanotrofio dal poliziotto Raymond. Qui, dopo un’iniziale reticenza, troverà molti amici di cui potersi fidare e con cui poter ridere, oltre all’amore per la compagna Camille, in una casa famiglia dove sentirsi protetto dal mondo esterno, perché l’orfanotrofio non vuole essere una prigione, ma un rifugio sicuro.
Barras e Sciamma non vogliono speculare sulla crudeltà, e realizzano un film tenero, in perfetto equilibrio tra emozione e umorismo, finzione e realismo, dedicato a chi deve trovare la forza per rialzarsi.
Nonostante le tematiche forti e dolorose, l’atmosfera del film resta avvolta in una pace delicata. I ritmi sono lenti, si dà grande spazio ai gesti semplici, lunghe inquadrature catturano gli sguardi, i campi lunghi permettono agli spettatori di concentrarsi sul tempo interiore dei personaggi: tutto diventa complementare, dagli spazi alla scenografia, dai paesaggi ai cieli colorati sullo sfondo, al fine di rispecchiare le emozioni dei bambini.
È un film che, pur rivolgendosi ai più piccoli, ha il coraggio di affrontare anche una tematica delicata come quella della sessualità e lo fa con grande leggerezza ed effetti spesso esilaranti.
Barras si mantiene sempre ad altezza di bambino, ne adotta in pieno il punto di vista, e questo gli consente di procedere con sguardo sicuro, facendo muovere i personaggi in un ambiente realistico, che ricorda il cinema sociale di Ken Loach e dei fratelli Dardenne, lontano dalle atmosfere patinate dei film per bambini. Al realismo della messinscena e dell’ambientazione, Barras contrappone i grandi occhi e le grandi teste con capelli dai colori sgargianti.
Una delle scelte più forti e convincenti riguarda infatti il volto dei personaggi: seguendo la lezione di Hergé, il disegnatore di Tintin, Barras sa che più un viso è semplice, più il pubblico può proiettarvi le proprie emozioni.
Il volto di Zucchina è essenzialmente centrato su grandi occhi che spiano il mondo e che ricordano quelli del solitario Wall-e della Pixar, film agli antipodi per scelta stilistica e concettuale, sofisticati software per il prodotto Disney, ritorno all’artigianato e al mondo delle marionette e della plastilina per il film di Barras, ma entrambi capaci attraverso la mimica di richiamare l’immediata identificazione con il pubblico, la profondità dei sentimenti e un’essenziale malinconia.
Barras racconta, in un’intervista rilasciata a Variety durante l’ultimo Festival di Cannes, che “c’è una stretta ed evidente relazione tra il background di realismo sociale vissuto dai protagonisti e la forma molto concreta di animazione stop-motion che non permette di cambiare nulla dopo le riprese”, proprio come la vita non permette di cambiare quanto ormai accaduto.
Eppure sono proprio Zucchina e i suoi amici a regalare un esempio di come tutto si può ricomporre, con la solidarietà e la fiducia. L’amore può curare il dolore, l’amicizia può sostituire la solitudine. Si possono colmare i silenzi e ottenere risposte alle domande, mentre s’intuisce in quale modo far cicatrizzare le ferite, nulla è perduto se ci si apre agli altri e non si cede alla delusione.
(Ma Vie de Courgette); Regia: Claude Barras; sceneggiatura Céline Sciamma; fotografia: David Toutevoix; montaggio: Valentin Rotelli; musica: Sophie Hunger; direttore animazione: Kim Keukeleire; voci: Gaspard Schlatter, Sixtine Murat, Pauline Jaccoud, Michel Vuillermoz, Raul Ribera, Estelle Hennard, Elliot Sanchez; produzione: Rita Productions, Blue Spirit Productions, Gebeka Films, KNM; origine: Svizzera, Francia, 2016; durata: 66’