La Milanesiana 2011: DECIMA SERATA – LE BUGIE DELL’ANIMA
Sono ambigrammi musicali, fantasiose rivisitazioni di brani celebri in ordine apparentemente casuale, quelli che Marco Morgan Castoldi sceglie per aprire la decima serata della Milanesiana, dall’evocativo titolo Le bugie dell’anima. Annunciato dalla voce di Ungaretti, che recita Fratelli, e dai colori denaturati delle immagini di Peter Demetz, Morgan, look vampiresco con inserti leopardo, vola sul pianoforte, intrecciando le dita a folle velocità, accompagnato da contrabbasso e fagotto, miscelando, senza soluzione di continuità, canzoni e battute senza, per concludere con Ovunque sei di Bindi. È il duplice rapporto fra parola e verità ad essere al centro della tensione dinamica creata da scrittori, musicisti e drammaturghi che si danno il cambio sul palco, dopo le presentazioni di Elisabetta Sgarbi, ideatrice e direttrice del Festival, e di Antonio Gnoli, giornalista di Repubblica, in una serata che rappresenta il completamento ideale dell’appuntamento pomeridiano al Teatro di Verdura, che, per la sua quarta giornata, ha visto la presenza di Remo Bodei, Maurizio Ferraris, Diego Fusaro, Giovanni Reale, Emanuele Severino, Ugo Pagliai, Armando Torno e Antonio Ballista.
La parola, come unica possibile incarnazione di una verità che, a contatto con il finito, subito trascolora, diventa in qualche modo falsa perché essenzialmente limitata; la verità come elemento esplosivo, che supera la finitudine della parola in qualcosa che la trascende. Nell’esplorazione di questo complesso legame, l’arte non può che costituire un osservatorio privilegiato, in quanto sostanza intrisa di falsità per sua stessa vocazione, ma capace, forse più di ogni altra espressione umana, di fare emergere quel bisogno interiore di verità che rappresenta l’ideale sottotesto delle nostre esistenze. È la costante ricerca di un frammento di verità che anima i personaggi femminili dei romanzi della dublinese Catherine Dunne (nell’ultimo, “Tutto per amore”, la protagonista sceglie di fuggire da tutti, malgrado tutto, improvvisamente consapevole della discrepanza fra verità interiore e verità ufficiale), cui è affidato il primo prologo letterario della serata, che celebra il potere della finzione artistica, «glorious lie» che fa dell’ambiguità una ricchezza e dello spazio che si apre fra le parole un posto in cui giocare («a place to play»).
È il superamento del bisogno di verità, paradossalmente proprio ove la sua stessa possibilità sembrerebbe negata, in favore di un legame fra esseri umani ispirato alla tolleranza e al dialogo fra culture e generazioni, che si respira invece nell’intervento di Ludmila Ulitskaya, ex genetista russa espulsa dall’Istituto di ricerca di Mosca per aver diffuso libri proibiti dalla censura sovietica, e ora scrittrice celebrata in tutta Europa (il romanzo Daniel Stein, traduttore, ispirato alle vicende dell’ebreo ingaggiato dalla Gestapo come traduttore ufficiale, ha vinto il Men Prize in Germania nel 2009), che sul palco della Milanesiana tratteggia l’ironico ritratto di un padre teneramente bugiardo.
A concludere la serata, dopo il corto iconico-fotografico di Theo Volpatti (Transiberian Window), che riproduce frammenti e istantanee di un itinerario russo fra documentario e astrazione, tocca a Nicoletta Braschi, Enrico Ianniello e Tony Laudadio mettere in scena per la regia di Andrea Renzi, alcuni estratti di Tradimenti di Harold Pinter, feroce satira del mondo dell’editoria e, insieme, costruzione drammaturgica in cui, al di là della semplicità dell’intreccio (una donna tradisce il marito editore con il suo migliore amico), è una complessa stratificazione di bugie, di cui lo spettatore è al contempo vittima e osservatore, a sorreggere l’esistenza altrimenti assai prosaica dei tre protagonisti.