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La milanesiana 2011: Undicesima serata - BUGIE E VERITÀ E BERNARDINO TELESIO

Pubblicato il 7 luglio 2011 da Sofia Bonicalzi


La milanesiana 2011: Undicesima serata - BUGIE E VERITÀ E BERNARDINO TELESIO

È un’affinità elettiva quella che idealmente lega, come elementi della medesima costellazione, scrittori come Claudio Magris e Herta Müller entrambi premiati con la Rosa d’oro della milanesiana, nell’undicesima serata della rassegna, ospitata ancora per qualche giorno dal Teatro dal Verme e introdotta, come di consueto, da Elisabetta Sgarbi. Quando le bugie assumono la maschera del potere, tramutandosi in ideologia (totalitaria), quale compito spetta agli intellettuali, troppo spesso vittime o sodali del tiranno? Che cosa possono la letteratura e l’arte in genere di fronte alle armi di una politica che ha perso ogni volto umano? Per Herta Müller e Claudio Magris, il premio, il riconoscimento che la società civile tributa loro, come afferma Antonio Gnoli, non può che assumere un duplice valore, in quanto al tempo stesso incarnazione tangibile dell’ammirazione per il talento e la capacità di coinvolgere i propri lettori, e veicolo che attesta la stima della comunità di fronte alla fragile forza con cui hanno saputo resistere alla degenerazione della libertà e del pensiero. I libri non sono forse in grado di sovvertire le dittature e la cultura tedesca non ha impedito l’ascesa al potere di Hitler, ma ciò non toglie, come disse una volta Herta Müller, che alla letteratura spetti il compito di testimoniare i fatti del mondo, districandosi fra le bugie, per rimanere dentro la verità e farcela scoprire (Kafka volle per tutta la vita essere “amshel”, il padre di famiglia ebraico in cui sembrano radunarsi le caratteristiche più nobili dell’umanità, ricorderà poi Claudio Magris: «non ci riuscirà mai, rimarrà per sempre un uomo mutilato, ma senza Kafka, non sapremmo che cosa significa essere amshel»). Sfuggita alla dittatura di Ceauşescu per approdare nella “vecchia nuova” patria tedesca delle sue lontane origini, è proprio la scrittrice rumena a rappresentare, in un inscindibile binomio di arte e vita, queste forza oppositiva ostile alla menzogna di un potere illiberale. Insignita del premio Nobel nel 2009 per i suoi romanzi dai titoli sorprendenti (Il paese delle prugne verdi, In viaggio su una gamba sola), “colpi contundenti” sferrati ad un regime che cercò vanamente di oscurarla, Herta Müller sale sul palco della Milanesiana, rievocando, in un intenso prologo letterario, i giorni che precedettero il suo licenziamento quando, impiegata come traduttrice presso una ditta rumena, fu minacciata di morte e progressivamente isolata per aver rifiutato di collaborare con la polizia segreta, e infine scambiata per una spia dai suoi stessi colleghi («mi punivano perché li risparmiavo»).
Di Claudio Magris è stato ricordato tanto il fondamentale apporto alla conoscenza e allo studio della letteratura mitteleuropea moderna, quanto l’impegno civile che lo ha portato, spesso dalle pagine del Corriere della sera, a ricordarci senza facili ammonizioni i compiti che una società dovrebbe porsi, almeno finché sceglie di non fare definitivamente a meno del «lume fioco della ragione», trovandosi di fronte ad una classe politica troppo spesso «pretestuosa e provocatoria». Per il secondo prologo letterario della serata, Magris ha intrecciato un dialogo a distanza con Gao Xingjian che, giorni fa, aveva parlato della letteratura novecentesca come di un prodotto asservito alle ideologie politiche dominanti. Discostandosi da questa visione, che pare non tener conto del fatto che gli scrittori sono stati molto più spesso «figli ribelli che inseguivano il loro demone» che «padri di famiglia», lo scrittore triestino ha condotto il pubblico della Milanesiana in un affascinante e travolgente viaggio che, a partire dalla riflessione sulla Urpflanze goethiana (la foglia originaria, di cui Goethe vede l’esemplare a Palermo e che diviene l’archetipo stesso dell’esperienza, da lui contrapposta all’evanescente idea, astrazione sospetta, di cui parlerà piuttosto l’amico Schiller) e passando per la ricostruzione del concetto di ideologia (attraverso Mannheim, Marx ed Engels, Nietzsche, Gramsci, il ’68), approda ad una complessa riflessione sullo statuto di quegli intellettuali e letterati, che Platone voleva tenere al di fuori della sua Repubblica di saggi: se il filosofo greco sbaglia nella sua condanna, perché si ritrova ad emettere una sentenza che confina con il totalitarismo del pensiero, al tempo stesso nessuno può ritenersi più titolato di altri di fronte alla necessità di superare l’immediatezza del dato, nessuno è definitivamente al riparo dal sonno della ragione e un letterato cieco di fronte al mondo non può essere considerato “più intellettuale” di un impiegato o di un operaio («una macchina che sforna libri non è diversa da una macchina che sforna bulloni»). Così amiamo Pirandello, Celine, Hamsum, Eluard e Aragon, malgrado non si possa perdonare loro la folle adesione alle inumane astrazioni del potere e per quanto non sia forse compito della letteratura attribuire voti alla vita (Silesius). «È propria solo delle grandi opere la capacità di fondere impegno civile e passione politica nella sfera più alta di un’immaginazione non imbrigliata dal cappio della coercizione ideologica, come accade con Dante, Virgilio, Brecht o Bernanos, dove la parola non diventa mai gioco feticistico fine a stesso («ogni parola sa qualcosa del circolo vizioso», diceva Herta Müller), ma è trattata come qualcosa di serio, come serio è l’impegno che i bambini mettono nel gioco, molto più di quanto faranno poi in ogni pratica della vita adulta».
La conclusione musicale della serata è affidata alle sperimentazioni visivo-musicali di Franco Battiato che, con la collaborazione di due voci e due musicisti (fra cui Carlo Boccadoro), ha presentato alcuni brani tratti dal suo ultimo spettacolo teatrale, interamente in ologrammi tridimensionali, su Bernardino Telesio, filosofo ribelle e materialista, andato in scena al Teatro di Cosenza dal 6 all’8 maggio.


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