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La solitudine dei numeri primi

Pubblicato il 10 settembre 2010 da Antonio Valerio Spera


La solitudine dei numeri primi

Il romanzo La solitudine dei numeri primi non deve tanto la sua fortuna alla storia che racconta né tanto meno allo stile letterario di Paolo Giordano, accattivante senza dubbio ma ancora acerbo e ricco di ingenuità. La sua forza risiede invece nell’approccio alla materia narrativa, nella sua capacità di guardare alla dimensione emozionale da un punto di vista quasi scientifico, matematico, geometrico, analitico, rendendola materiale, fisica, schematica, addirittura razionale. Il ritratto di Alice e Mattia, due anime sole, relegate ai margini dei gruppi sociali, psicologicamente e fisicamente segnate da un tragico evento incorso nelle loro infanzie, non propone niente di veramente originale e per quanto riesca a coinvolgere non riesce mai a fare salire brividi in corpo, ad emozionare fino in fondo. Ha sicuramente dei momenti alti, in cui il lettore non può che provare pietà per i personaggi, comprenderli, persino amarli, ma nel complesso si perde troppo nel racconto di un dramma che si fa sempre più grande, di un’insoddisfazione e di un’infelicità crescenti ed opprimenti. Insomma, un romanzo che ha la forza ma anche i difetti di un esordio. Un romanzo che, nonostante tutto, si è portato a casa il premio Strega.
Leggendo il libro si ha la sensazione che sia difficile trarne un film che possa renderne la storia più bella ed emozionante e soprattutto che riesca a sganciarsi dalla pagina scritta e a farsi altro da esso. Il romanzo di Giordano, infatti, ha già in sé molti germi cinematografici: presenta dialoghi battuta per battuta, descrive ogni dettaglio dei movimenti dei personaggi e lascia poco spazio all’immaginazione. Per qualunque regista avesse voluto intraprendere la sfida della trasposizione cinematografica sarebbe stato complicato farne un’opera diversa e personale. Soprattutto, sarebbe stata missione veramente ardua rendere sullo schermo quella forza – a cui accennavamo sopra - psicologico-concettuale del romanzo, una forza fatta di descrizioni difficili da tramutare in immagini. Eppure, dato l’enorme successo di critica e di vendite, il passaggio al grande schermo era inevitabile. Ed ora infatti, in concorso alla Mostra di Venezia e nelle sale italiane, ecco La solitudine dei numeri primi reso in immagini da Saverio Costanzo, uno dei registi italiani più interessanti della nuova generazione, quell’autore che con Private e In memoria di me aveva impressionato per il suo stile e per il suo coraggio di raccontare storie crude e complesse.
Costanzo prova a fare sua la storia ed in parte ci riesce pure. L’evoluzione cronologica della narrazione, nel film, viene smontata, frammentata in un puzzle in cui i diversi piani temporali si fondono e si intersecano. Il regista mette via l’esagerata angoscia che pervade il romanzo, il luogo indefinito descritto da Giordano diventa una Torino splendida ed inquietante in ogni scorcio, dà una tonalità da horror pop al racconto, lo “pulisce” di tanti momenti inutili, cambia leggermente il finale e soprattutto impreziosisce l’opera di una colonna sonora sorprendente, da Morricone ai Goblin, in un continuo di citazioni cinematografiche che va da Dario Argento e Kubrick fino all’esplicito omaggio a L’avventura di Antonioni.
In particolare nella parte centrale del film, Costanzo offre un ottimo cinema. Dà ritmo e climax emotivo attraverso un montaggio parallelo veloce ed intelligente (eccezionale il lavoro di Francesca Calvelli), fa sentire molto i corpi dei protagonisti, indugiando sul loro sfiorarsi, sulla loro “timidezza” fisica, e soprattutto, mettendo da parte l’approccio “scientifico” di Giordano, infonde di umanità una storia che sulla carta arrivava poco in profondità. E poi Costanzo è un regista che cura l’immagine, che sta attento ai colori, alle luci, alla scenografia, un autore che sa sempre dove e come mettere la macchina da presa. La solitudine dei numeri primi è un film a tratti ipnotizzante per la sua potenza visiva e sonora, i cui difetti non vanno assolutamente rintracciati nella sua messa in scena. I limiti sono solo di scrittura. E qui le colpe di Costanzo forse sono ben poche. La sensazione è infatti che la collaborazione alla sceneggiatura di Paolo Giordano non abbia consentito al regista di Private di imporre fino in fondo la sua idea di cinema e di rendere l’opera ancor più personale. Per quanto il film emozioni per la dicotomia tra il lato oscuro e quello umano di Mattia e Alice – resa grazie alle ottime interpretazioni di Alba Rohrwacher e di Luca Marinelli (bella scoperta) abili nel rappresentare i loro personaggi sia fisicamente che psicologicamente - convince solo in parte perché è evidente che, in particolare in alcuni momenti, il ricchissimo impianto audiovisivo fatichi a trovare un altrettanto spessore nella costruzione dei personaggi di contorno e nel discorso critico, non ben approfondito, sulla famiglia.
La solitudine dei numeri primi non segna comunque un passo indietro nella carriera di Saverio Costanzo. Anzi, ne conferma il suo talento creativo e soprattutto ne conferma il coraggio delle scelte. Portare sullo schermo il romanzo di Giordano non era cosa facile, per nessuno. E per rimanerne fedele, risultato migliore non si poteva ottenere.


CAST & CREDITS

(La solitudine dei numeri primi) Regia: Saverio Costanzo; sceneggiatura: Saverio Costanzo, Paolo Giordano dall’omonimo romanzo di Paolo Giordano; fotografia: Fabio Cianchetti; montaggio: Francesca Calvelli; musica: Mike Patton; interpreti: Alba Rohrwacher, Luca Marinelli, Isabella Rossellini, Filippo Timi, Arianna Nastro, Vittorio Lomartire, Martina Albano, Tommaso Neri, Roberto Sbaratto; produzione: Offside, Bavaria Pictures, Les Films des Tournelles, Le pacte, in collaborazione con Medusa Film e Sky; distribuzione: Medusa; origine: Italia, Francia; durata: 118’.


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