Ladri di cadaveri - Burke & Hare

Edimburgo, Scozia. Anno 1828. No, non è un film di James Ivory. No, non si tratta di un polpettone strappalacrime in costume. Strano a dirlo ma l’opera porta la firma di John Landis. Si, quell’autore folle che ha distrutto decine di macchine per girare un assurdo inseguimento, quello che ha fatto mangiare a John Belushi budini, hamburger e sandwich in pochi secondi, quello che ha trasformato in zombie e lupo mannaro Michael Jackson, quello che nella sua filmografia ha annullato il confine tra terrore e comicità facendoli genialmente coincidere; quel regista straordinario, innovativo, trasgressivo ed irriverente che negli anni ’80 ha rinnovato il cinema americano con opere cult come The Blues Brothers, Animal House e Un lupo mannaro americano a Londra e che purtroppo negli ultimi due decenni ha perso lo smalto del suo primo periodo artistico. Oggi, Landis, dopo aver lavorato molto anche in televisione (vedi la serie dei Masters of Horror), torna al grande schermo sorprendendo con la scelta di realizzare un film in costume – strada per lui finora mai intrapresa. L’atmosfera è quella dark stile "Jack lo squartatore", ma come sempre il regista americano ribalta il genere e riempie di assurdità e comicità il racconto. Tutto ciò che è violento diventa inevitabilmente divertente, il sangue diventa la ragion d’essere delle gag e la bestialità dei personaggi è l’elemento che li rende divertenti. Così Landis gioca sul contrasto, sull’ossimoro visivo e concettuale, sull’illogico (a volte) rapporto consequenziale tra azione e reazione e lo fa sin dalla frase iniziale: “Questa è una storia vera eccetto le parti che non lo sono”.
Ladri di cadaveriparte benissimo, quasi in stile scespiriano, con il boia della città che parla in macchina presentando al pubblico il contesto di Edinburgo della prima metà dell’ottocento. Ed ecco delinearsi i personaggi, da una parte i due chirurghi (ottimi Tom Wilkinson e Tim Curry) che si sfidano a distanza con le loro scoperte nel campo della medicina, dall’altra i Burke e Hare del titolo originale, due squattrinati alla ricerca del modo migliore per fare qualche soldo, che di lì a poco diventerà la vendita di cadaveri ai due chirurghi. Da qui parte un racconto veloce, scritto con lo giusto equilibrio tra demenzialità, deformazione, comicità sosfiticata, elementi dark e sentimentalismo, costruito su gag e situazioni originali e divertenti, scandito da dialoghi brillanti. Un racconto, ritmato e ricco di trovate nella prima parte, forse un po’ ripetitivo nell’ultimo segmento, che trova sullo schermo la forma di una messa in scena curata nel dettaglio, sia scenografico sia costumistico, elegante nella scelta delle inquadrature, divertita nella costruzione dei momenti comici. Landis mette insieme, con le giuste dosi, comicità fisica e verbale, gioca bene sia con i corpi sia con le parole. In questo gli dà una grossa mano un cast di attori in ottima forma, su tutti i due protagonisti Andy Serkis e Simon Pegg, maschere grottesche di un male occasionalmente spinto dall’amore.
Con Burke & Hare, assistiamo al risveglio dal letargo creativo (basti pensare al seguito di The Blues Brothers e a The Stupids, tanto per fare due esempi) di un autore fondamentale nella storia del cinema americano. Le glorie degli anni ’80 sono ancora lontane, ma i segni di quel cinema cominciano a rivedersi. Possiamo dirlo: bentornato John Landis.
(Burke & Hare); Regia: John Landis; sceneggiatura: Piers Ashworth, Nick Moorcroft; fotografia: John Mathieson; montaggio: Mark Everson; scenografia: Simon Elliott; interpreti: Simon pegg, Andy Serkis, Tim Curry, Tom Wilkinson, Jessica Hynes; produzione: Fragile Films / Ealing Studios; distribuzione: Archibald Enterprise Film; origine: Gran Bretagna; durata: 91‘.
