X

Su questo sito utilizziamo cookie tecnici e, previo tuo consenso, cookie di profilazione, nostri e di terze parti, per proporti pubblicit‡ in linea con le tue preferenze. Se vuoi saperne di pi˘ o prestare il consenso solo ad alcuni utilizzi clicca qui. Chiudendo questo banner, invece, presti il consenso allíuso di tutti i cookie



Lady Henderson presenta

Pubblicato il 7 gennaio 2006 da Alessandro Izzi


Lady Henderson presenta

Non sempre una regia assolutamente invisibile è da considerarsi a tutti gli effetti un merito. Non sempre l’annullamento (lo scioglimento quasi) del regista all’interno della materia narrata, così tanto auspicato da autori del calibro di Wilder, segna davvero il raggiungimento di un non plus ultra dell’arte cinematografica. Non sempre l’opera riesce davvero a diventare più importante, più significativa, più necessaria di quell’artista che dovrebbe in un certo modo veicolarla, traghettarla dalla sfera delle idee pure e delle astrazioni ai gretti lidi della pellicola e della materia.
Lady Henderson presenta è un esempio lampante, fulgido di un film in cui la regia, messa al servizio di una storia esemplare e a suo modo incredibilmente vitale, finisce per tradire la propria funzione e per relegarsi al rango di semplice mestiere, si trasforma in un “lavoro”.
Ben inteso il film di cui stiamo parlando resta pur sempre un’opera di pregevole fattura e non nasconde mai la sua ambizione a ritagliarsi un posto di tutto rilievo all’interno di quel vero e proprio filone dell’industria cinematografica che è la brit comedy (vale a dire attenzione al sociale e all’impegno condita con l’asprigna ironia tipica degli inglesi), ma a mancare, alla fine è proprio quella lezione di stile che era lecito aspettarsi da un regista come Stephen Frears.
Il film, insomma, si cala con precisa convinzione nel solco di un genere che, col tempo, ha definitivamente consolidato le proprie convenzioni di base e tutto quello che ci convince e che ci pare palpitare di vita propria all’interno della commedia umana che si dipana sotto i nostri occhi è né più né meno che quello che abbiamo imparato ad amare in altre pellicole dello stesso filone. C’è lo stile del genere, quindi, c’è, e non lo si può negare, il marchio della scuola, manca, però, la mano capace e salda di un regista che sia davvero capace di ergersi al di sopra della convenzione e di attingere alle vette dell’originalità.
Peccato, perché il film, che in fondo altro non è che un discorso mai banale sulla necessità e la volontà di saper cogliere le occasioni propizie anche nei momenti più cupi e più bui della storia, diventa alla fine esso stesso un’occasione perduta.
Restano, è vero, molti motivi per cui vale la pena vedere Lady Henderson presenta. Convince la cura del dettaglio, quell’attenzione tipicamente inglese per gli elementi minuti di una ricostruzione storica (quella degli anni ’30 e dei terribili bombardamenti a tappeto che rischiarono di mettere in ginocchio l’intera nazione) che riesce a non apparire mai posticcia. Affascina la perfezione di una sceneggiatura perfetta come un meccanismo ad orologeria nella sua capacità di alternare senza mai apparire precofenzionata i momenti drammatici e dolorosi con quelli ironici e spigliati. Sorprende piacevolmente nella cura delle interpretazioni dei personaggi minori che non paiono mai stereotipati anche se non tradiscono la loro funzione di elementi di un affresco di una classe sociale ed un periodo storico preciso. Conferma, laddove ce ne fosse ancora bisogno, la grandezza di due interpreti giganteschi come Judy Dench e Bob Hoskins (qui a livelli esemplari).
Eppure l’impressione complessiva è che quella riflessione in fondo bella e necessaria (ed attualissima: respira anche nell’ultima non del tutto convincente fatica del Benigni regista) che anche nei momenti peggiori un sorriso possa e debba essere la strada che ci permette di cogliere il lato più solare dell’esistenza. Che non importa quale che sia la tragedia che ci ruota intorno (il nazismo come la guerra in Iraq) perché anche quando tutto ci crolla addosso e si sbriciola in nuvole di calcinacci e morte, basta guardare avanti, con quello sguardo giovanile che possono e devono avere anche i vecchi, perché dal dolore si possa cominciare a ricostruire un futuro possibile.
E non è secondario che questa lezione di vita, risaputa, al fondo anche un po’ buonista, passi, nel film di Frears attraverso le maglie del mondo dello spettacolo, del teatro (fosse anche la semplice trovata di far spogliare le ballerine alla ricerca di un applauso tanto facile quanto al fondo liberatorio). Perché il teatro, come il cinema possono in fondo diventare serbatoi di autostima e valvole di sfogo per i momenti peggiori.
Ma noi siamo convinti che il cinema sia anche arte oltre che espressione di un bisogno collettivo e dobbiamo ammettere alla fine che Lady Henderson presenta benché gradevolissimo e a suo modo consigliato a tutti, non sia, in fondo, né davvero opera d’arte, né espressione reale di un’esigenza sentita da tutti. Distribuito poco e male, in periodo vacanziero, il film allieterà la serata di un ristretto pubblico di amatori. Per il resto d’Italia sarà solo il film in cartellone per poche sale semi vuote.

[Gennaio 2006]

(Mrs. Henderson presents); Regia: Stephen Frears; sceneggiatura: Martin Sherman; fotografia: Andrew Dunn; montaggio: Lucia Zucchetti; musiche: George Fenton; intepreti: Judy Dench, Bob Hoskins, Will Young, Kelly Reilly, Thelma Barlow, Christopher Guest; produzione: Laurie Borg per BBC Films, Heyman-Hoskins Productions, Mrs. Henderson Productions Ltd; distribzione: BIM; web info: Sito ufficiale

Enregistrer au format PDF