Lady in the water

Non lasciatevi ingannare dalle apparenze. Non ascoltate troppo neanche le stesse parole che il regista stesso ha scelto per presentare al pubblico e ai lettori, il frutto estremo della sua poetica. Soprattutto non lasciatevi influenzare dalle immagini dei trailers che anticipano del film poco meno della superficie e sicuramente non la sostanza.
Checché se ne dica (e se ne dirà) in giro, Lady in the water non è una favola. Piuttosto è la storia, solare nei presupposti, ma cupa nei suoi risvolti più segreti e doloranti, del modo in cui la magia della fiaba e la razionalità del mondo adulto, non riescono più a convivere. È la rappresentazione dell’inaridimento delle nostre coscienze, della perdita ineluttabile dell’incanto della fantasia, e del bisogno, conseguente, di trovare altrove un serbatoio mitico cui attingere per portare avanti delle esistenze altrimenti condannate al “freddo vero” di telegiornali che parlano sempre e solo di guerre cruente in altre parti del mondo.
La favola della bella Nerf che si nasconde nella piscina di un condominio e gradualmente getta un lume di speranza nelle stanche vite di chi si è ormai abituato ad un’odiosa routine, è puramente accidentale. È, in effetti, solo il semplice meccanismo di base sotto cui nascondere, in filigrana, un disegno ben più articolato e complesso. Perché quello che conta per il regista non è tanto e non è solo la favola della buona notte che tanto piace anche in quel di Hollywood, ma proprio il senso stesso del raccontare, oggi, ad un mondo gretto e involgarito dalle barbarie, una favola come quelle di una volta.
Un po’ come in Hook (e Shyamalan non ha mai fatto misteri della sua ammirazione per il regista di Lo squalo e Incontri ravvicinati del terzo tipo), al centro del discorso c’è un adulto che non riesce più ad abbandonarsi alla fantasia del volo. Solo che questa volta a non saper più volare non è un Robin Williams appesantito dagli anni e dalle troppe cure, ma siamo noi spettatori, ben piantati nelle nostre poltrone, ma chiamati continuamente a rispecchiarci in un mondo fantasioso, ma non troppo.
Ed è proprio in questo connubio di razionalità e magia a riposare il senso segreto di un discorso che ci lascia sempre con l’amaro in bocca e con un senso di insoddisfazione profonda che neanche i più incantati momenti di suggestione o di commozione, riescono davvero a fugare del tutto. Shyamalan, da questo punto di vista, non risolve mai le contraddizioni tra l’io bambino che alberga in tutti quanti noi e il mondo adulto nel quale dobbiamo, volenti o nolenti, abitare. Non permette mai alle componenti fiabesche di prendere il sopravvento, né consente al ruvido reale di prendere troppo posto nel corpo del racconto. Piuttosto resta a metà, ed ammiccando dallo schermo con fare sornione, sembra sempre volerci chiedere, a mezzo sorriso: “Nella stessa situazione, tu che faresti? Crederesti?”.
E nel far questo non presenta, mai, allo spettatore, risposte preconfezionate; non ci indica una direzione precisa come generalmente avviene, ad esempio, nei film per famiglie della Disney, dove ad un inizio razionale e sin troppo freddo deve sempre corrispondere uno sviluppo in cui ci si abbandona, fanciulli ritrovati, al flusso libero della fantasia.
In Lady in the water, come anche negli altri film horror del regista, manca proprio il momento dell’abbandono spudorato, scorie della nostra realtà razionale sempre e comunque inquinano anche i momenti più fiabeschi riportandoceli a terra e facendoci sentire come spaesati in territori che dovrebbero invece esserci familiari.
Prendete ad esempio la scena in cui i condomini hanno ormai preso coscienza della loro missione, e, armati di scope, rastrelli ed attrezzi da giardino, si apprestano a tener lontano lo Scrunt. In un film qualsiasi questo sarebbe il momento della liberazione da ogni freno inibitorio del regista. Qui luci mistiche dovrebbero prendere possesso del giardino e gli arnesi del nostro vivere quotidiano dovrebbero lasciare il posto a spade e lance della miglior tradizione fantasy. Shyamalan, invece, lascia tutto com’è. Paul Giamatti (superbo interprete in un cast complessivamente azzecatissimo) non diventa un prestante cavaliere in groppa al suo destriero, ma resta, nella sua goffaggine appena corretta nel balbettio, un uomo qualunque con in mano una scopa qualunque. E noi spettatori siamo chiamati a partecipare di questa goffaggine, a farcene carico, perché è, né più né meno, la nostra.
Anche la scena più favolosa del film (quella della grande aquila che prende la Nerf e la porta su in cielo) è risolta, con genialità espressiva incredibile, in una soggettiva subacquea in cui i confini delle cose restano confusi e tutto vive in uno spazio quasi inespresso che ci lascia con l’obbligo di completare i contorni di un disegno fatto solo di colori.
Non deve stupirci, quindi, la straordinaria facilità con cui tutti i condomini credono alla fiaba della Nerf non appena essa viene loro raccontata. Essa è esattamente quello che loro stavano aspettando: quella Story (nomen omen) che anche noi aspettiamo, anche se un po’ ce ne vergogniamo.
E tutti quanti noi (ci rendiamo conto alla fine della proiezione) abbiamo finito quasi senza rendercene conto, per nasconderci, proprio come il portiere, in un condominio squadrato e razionalmente maschile che, alla fine, non è solo metafora di un’America impermeabile (come in The village) a ogni interferenza esterna, ma è simbolo di una condizione esistenziale comune, quasi universale.
Ed è l’elemento femminile, una volta tanto, a fecondare per noi, da una piscina tutta curve come un’ameba, il lato maschile per produrre non vita, ma idee e speranze per un futuro migliore.
È questa, in fondo, la visione dell’arte che ha Shyamalan (che non a caso interpreta il poeta del condominio): un qualcosa che possa consolarci nelle notti che sanno di guerra e dolore, ma che diventi poi anche un’arma con cui affrontare più fiduciosi il futuro. Con la consapevolezza che, se davvero il mondo è come un condominio, allora le nostre esistenze sono davvero interconnesse e il bene di uno è, alla fine, il bene di tutti.
(Lady in the water); Regia e sceneggiatura: M. Night Shyamalan; fotografia: Christopher Doyle; montaggio: Barbara Tulliver; musica: James Newton Howard; interpreti: Bryce Dallas Howard (La Nerf), Paul Giamatti (Cleveland Heep), Jarett Armstrong (Ospite del party), Bob Balaban (Mr. Farber), John Boyd (Il fumatore), Al Camardella (Ospite del party), Freddy Rodriguez (Reggie), M. Night Shyamalan (Vick); produzione: Warner Bros Pictures, Blinding Edge Pictures, Legendary Pictures; distribuzione: Warner; origine: USA, 2006; durata: 109’; webinfo: Sito italiano
