Las buenas hierbas - Roma 2010 - Concorso
La regina del cinema messicano contemporaneo si chiama Marìa Novaro, è una sociologa sessantenne non a tutti nota probabilmente (sarà per il monopolio maschile che regna nel cinema messicano?) ma la cui carriera cinematografica ha già prodotto, in quasi trent’anni di tempo, lavori più o meno interessanti (Lola, Danzòn, Sin Dejar Huella) sia nel campo del metraggio corto che in quello della lunga durata, sia nel cinema documentaristico che in quello di finzione. Oggi, a distanza di dieci anni dall’ultimo film, la Novaro ricompare sulla scena internazionale presentando al mondo intero il suo nuovo sforzo produttivo: Las buenas hierbas. La storia ha per protagoniste Lala, botanica appassionata al servizio del Giardino di Città del Messico e sua figlia Daalia, tenace ragazza madre che tenta di occuparsi del piccolo Cosmo tra un lavoro di speaker radiofonico e il continuo apprendimento delle tradizioni erboristiche tramandatele dalla madre. Il rapporto tra le due si gioca sul continuo riferimento alla potenza della natura, sull’essenza di erbe lavorate secondo una tradizione secolare, sulla conservazione di tale alchimia ma soprattutto sulla scoperta delle potenzialità che, ciascuna pianta a suo modo, riesce ad avere sul corso della vita, sulla psiche umana, sull’organismo in ogni sua componente organica o mentale. Il legame creato sul filo di una passione per la natura intesa come simbolo di una spiritualità profonda diviene così, attimo dopo attimo, sempre più saldo tra le due donne fino al punto di rivelarsi, alla fine, la sola ancora di salvezza per un rapporto messo a dura prova dall’improvvisa malattia capitata alla forte Lala. Il film quindi diviene in corso d’opera una difficile indagine sull’Alzheimer e sulla drammaticità della malattia a cui fa seguito, di sottofondo, una profonda riflessione sulla caducità della vita e sul rapporto affettivo madre-figlia, il tutto sempre e comunque marchiato da un realismo evidente che prende per mano lo spettatore nei minuti iniziali e lo accompagna fino ai drammatici istanti finali. Las buenas hierbas è un film particolare e insidioso, che certamente mette in risalto il talento visivo innato della regista di Città del Messico ma rivela altresì una mancanza di compattezza nella struttura, un’assenza evidente di uniformità e dinamicità dietro cui l’atto della visione perde d’intensità. E’ innegabile la suggestione che molte delle scelte registiche dell’autrice provocano sul pubblico - l’approccio documentaristico marcato, l’esaltazione dell’emozione a discapito di un sottotesto scarno, il dominio della reazione sull’azione - ma è altrettanto innegabile però la presenza di crepe in uno script non sempre alto, efficace e puntuale come in alcuni esaltanti punti dell’opera. Se il ricorso ad un realismo crudo e sintetico, se il rapporto tra questo e la componente magica naturale, ad esempio, viene risolto ottimamente da una dialettica continua tra l’asfissiante presenza della camera a spalla e la costruzione di una sorta di erbolario grafico (su cui si alternano le erbe studiate da Dalia con le rispettive caratteristiche officinali delle stesse) che meraviglia lo spettatore e lo rende partecipe di una drammaticità sfiorata, percepita, costantemente a portata di mano, l’interno dell’ammaliante cortina che avvolge Las buenas hierbas nasconde anche una porzione non molto riuscita in cui, soprattutto nella prima parte, una fastidiosa pretenziosità appiccicata al racconto e una sua certa difficoltà nel procedere con spedita disinvoltura al “succo della storia” impediscono un’affiliazione costante e preventiva dello spettatore a quanto, di lì a poco, lo attrarrà nella più riuscita seconda parte del film. Per questo Las buenas hierbas lascia al suo passaggio la sensazione del film incompleto, potenzialmente fortissimo ma con una serie di mancanze abilmente mascherate da una innata vocazione documentaristica della regista e da una ammirabile prestazione del cast di attrici. Tutte molto brave nel restituire, con una intensità straordinaria, gli effetti provocati da tragedie a volte inaspettate (è il caso della vecchia Blanquita a cui hanno ucciso la piccola figlia), a volte talmente fulminanti da distruggere anche l’umanità più forte. Categoria, quest’ultima, a cui appartengono anche Dalia e Lala, due donne unite dalla forza della natura ma dalla natura devastate nel corpo (una) e nello spirito (l’altra).
(Las buenas hierbas) Regia: Marìa Novaro; soggetto e sceneggiatura: Marìa Novaro; fotografia: Gerardo Barroso; montaggio: Sebastián Garza, María Novaro; scenografia: Lorenza Manrique; costumi: Leticia Palacios; interpreti: Úrsula Pruneda (Dalia), Ofelia Medina (Lala), Ana Ofelia Murguía (Blanquita); produzione: Axolote Cine; origine: Messico; durata: 120’.