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Latin Lover (Conferenza stampa)

Pubblicato il 20 marzo 2015 da Ilaria Recchi


Latin Lover (Conferenza stampa)

Roma 16/03/2015

Anteprima romana al Multisala Adriano per Latin LOVER, commedia corale diretta da Cristina Comencini. Presenti alla conferenza stampa, aperta con un sentito e commosso omaggio a Virna Lisi, la regista e il numeroso cast: Marisa Paredes, Angela Finocchiaro, Valeria Bruni Tedeschi, Candela Peña, Pihla Vitala, Nadeah Miranda, Cecilia Zingaro, il "latin lover" Francesco Scianna, gli spagnoli Lluis Homar e Jordi Molla, gli altri interpreti maschili Neri Marcorè, Claudio Gioè e Toni Bertorelli.

Inevitabile la prima domanda sull’ultima grande prova cinematografica di Virna Lisi.

Cristina Comencini: Vorrei parlare della sua ultima interpretazione con la sua stessa vena, che non era mai sdolcinata ma andava sempre dritta al punto perché lei oggi direbbe di se stessa quello che pensa veramente. Per me era soprattutto un’amica. Ho lavorato con lei in quattro film. In questo film la sua prova mi sembra importante soprattutto per una scena, quella in cui si ubriaca e in cui esce fuori il retaggio di una donna di quell’età, che ha vissuto il mondo del cinema e se ne è innamorata. Lei ha lavorato con noi stando benissimo, non aveva sentore di essere malata, era sempre la prima ad arrivare sul set. Se n’è andata così, all’improvviso, quello che penso io è che aveva desiderio di stare vicino al marito. Io la ricorderei con le risate presenti in questo film.

Per la Comencini. In questo film ci sono tante donne che vogliono stare con un uomo che non c’è più, è una cosa che riguarda anche te, mediata dal cinema?

C. C.: Io credo che il padre sia un mito per tutti gli individui e in questo caso abbiamo cercato di dare l’idea di un divo ma anche di un padre che è un po’ sconosciuto, un po’ sfuggente. Ma è anche un’idea dell’uomo che spesso le donne mitizzano. Il padre-divo è un uomo di cui ci si innamora ma allo stesso tempo di cui bisogna liberarsi. Non si può vivere di ricordi ma si deve essere liberi. Questi personaggi, attori e registi dell’epoca, erano molto liberi. Nella ‘torta’ c’erano tutti questi ingredienti. Se fosse stato solo un padre qualunque sarebbe stato meno divertente, visto che il cinema aggiunge divertimento e allegria, sarebbe venuta meno questa parte di follia che aiuta a risolvere col sorriso questi legami a volte pesanti.

Una domanda per regista e attori. C’è anche la questione dell’attore-uomo, l’uomo in quanto attore che viene mitizzato. Succedeva solo nel passato o secondo voi capita anche oggi?

C. C. : Quel cinema era mitico e gli attori di quel cinema erano mitici. Era un cinema pieno di diversità però loro non avevano paura di essere parte di un mito. Oggi tra il cinema eroico e l’essere se stessi si ha bisogno di ricercare la sensazione di un’identità migliore.

Marisa Paredes: Io penso che i grandi miti appartengano a un’epoca passata, a un momento del cinema che adesso non c’è più. C’è moltissima differenza ora, anche la vita è cambiata e quindi anche il modo in cui gli attori si relazionano con il pubblico.

Valeria Bruni Tedeschi: Anche io penso a Virna e penso che questo film sia pieno di lei, questa giornata è con lei, era una donna molto vitale, molto potente, molto forte. Quello che dice Cristina mi rasserena, mi rincuora. Penso soprattutto a lei in questo momento. Su come un attore sia mito e su cosa siamo noi davvero… io vedo l’attore come uno strumento, come un violino o un pianoforte. Cerco di utilizzare questo strumento nel miglior modo possibile, lo vedo più come un lavoro di artigianato che come uno strumento per fare un mito di me stessa.

Angela Finocchiaro: Io sono un mito per i miei cani e basta. A loro vado sempre bene. Io invece vorrei sapere proprio da Francesco (Scianna), ma a te che effetto ha fatto essere un mito?.

Francesco Scianna: E’ chiaro che come attore quello che Cristina mi ha fatto è un regalo immenso: poter interpretare diversi personaggi in un unico blocco è stato fantastico. Un altro regalo bellissimo che Cristina mi ha fatto è l’avermi spinto molto nella dimensione del gioco che gli attori di un certo cinema avevano anche di più. Io non ho vissuto la dimensione del mito, quella è una proiezione che fanno gli spettatori, quello che ho cercato io è comprendere la grande umanità di Saverio. Quella che lui indossa è una maschera, sei molto più seduttivo quanto è più grande il bisogno di essere amato. Lui è un uomo che ha anche cercato di dare molto amore con le sue capacità, si è perso molte cose ma comunque è un positivo. Siamo tutti fragili, però mi capita di vedere, anche rispetto a quelli che erano i miei miti, che il grande attore spesso non ha tutte le rotelle a posto, è sempre un po’ svalvolato. É il prezzo da pagare per una grande creatività.

Neri Marcorè: Quando ho letto la sceneggiatura temevo che un personaggio del genere potesse risultare antipatico e anche un po’ fuori dal tempo. Ovviamente sono molto invidioso, volevo farlo io Saverio Crispo, poi ho detto a Cristina di prendere Francesco.

Tutte le donne del film all’inizio sono come sovrastate da questa figura maschile e alla fine sembrano quasi liberarsene. Quanta nostalgia personale, rispetto alla tua famiglia, c’è per quel grande cinema del passato?

Cristina Comencini: Io credo che sia verissima la subalternità affettuosa e passionale rispetto all’uomo, che è padre e uomo molto forte. Quando il personaggio di Marisa Paredes cita Eva contro Eva e dice che bisogna crescere per essere veramente se stesse è una realtà. Tutte queste figlie scoprono che il padre aveva tante fragilità. L’idea che loro facciano questo giro insieme e la scena chiave in salotto, che è quella che amo di più, rappresenta un’immersione in una verità fatta di tante facce che rende più liberi. Volevamo raccontare una possibile libertà dell’identità femminile, l’idea di ricevere un po’ di libertà e di vivere la propria vita. L’umanità che sembra più banale è la tua umanità. Penso che nel cinema le cose avvengano magicamente, rifare le cose di quel cinema è stato molto divertente. Ho pensato: mettiamo in scena come erano fantastici ma poi incontriamo la piccolezza dell’essere umano.

Per Francesco Scianna. C’è un riferimento nel tuo personaggio ad Alain Delon oltre ai divi italiani?

F. S.: La carriera di Saverio Crispo è stata internazionale e credo ci sia proprio l’atmosfera di quel cinema ed è bello poter spaziare tra generi diversi e figure diverse.

Una curiosita sulle location. Perché avete scelto la Puglia?

Cristina Comencini: Noi all’inizio volevamo ambientare il film nella campagna romana perché molti divi del cinema italiano vengono da lì. Poi è venuta fuori la Regione Puglia che fa un lavoro straordinario sul cinema, il più grande contributo al cinema italiano lo ha dato questa regione, ma non avrei mai girato se non avessi trovato questo paese. A me piacciono molto questi piccoli paesi che hanno dato i natali a grandi personaggi.

Una domanda per Francesco Scianna. Chi è secondo te l’ultimo divo italiano e perché non ci sono più? Siete tutti più accessibili, fate perfino la pubblicità del tonno...

F. S.: Io ho vissuto un’epoca diversa, quel cinema lì l’ho vissuto solo nei miei studi, però so che molti grandi attori di quell’epoca facevano porcherie per poter fare cose bellissime. Penso che oggi siamo in una fase di passaggio e neanche così brutta e il nostro cinema sforna anche film da Oscar. Questa crisi culturale sicuramente porterà a una rinascita molto bella. Si può fare pure la pubblicità se ti serve, ma falla bene, impegnati!

Una domanda per gli attori stranieri. Come avete vissuto e percepito questo mito, come avete vissuto i divi degli anni Cinquanta, Sessanta, Settanta?

Lluis Homar: Noi abbiamo sempre questa idea del cinema italiano, come di qualcosa di immediatamente riconoscibile. Io penso che quello che conta di più è come si racconta questa idea. Mi sono sentito molto contento di far parte di questo progetto, essere parte di questa ‘sorpresa’, una sorpresa che consiste nel fatto che fino alla fine non si sa chi sia il mio personaggio. Quello che mi piace del film è questa contraddizione tra quello che facciamo per gli altri e chi sei veramente. Una cosa molto attuale: la contraddizione tra cosa pensano gli altri di noi e quello che noi siamo davvero.

Jordi Molla: Io non ho detto di sì a un personaggio ma a un film, a un’epoca, ai miti che adoro del cinema italiano. Ho imparato l’italiano a 16 anni solo per capire meglio i film italiani. Quando vengo a girare un film in Italia io mi sento come a casa. A me condiziona tanto geograficamente dove devo girare un film.

Pihla Viitala: Io ho recitato anche in altri film internazionali ma quando ho detto a mia madre che avrei avuto una parte in un film italiano dove ci sarebbe stata anche Virna Lisi lei non mi ha creduto. Per me è stato molto bello, il cinema italiano è molto importante. É stato molto difficile per me perché io sono finlandese e dovevo recitare la parte di una ragazza svedese che parlava in italiano e la comunicazione tra di noi era tutta in francese. É stato il ruolo più difficile in assoluto. Sono grata a Cristina per avermi coinvolto ed è stato uno dei cast più belli e divertenti in cui mi sono trovata.

Nadeah Miranda: Quando ho fatto il provino in inglese ero entusiasta. Ma dovevo interpretare una ragazza americana e io sono australiana, quando poi mi hanno presentato il mio coach che doveva controllare la pronuncia ho detto: ‘merda!’. Cristina è stata molto gentile con me perché io non avevo mai recitato in un film. Mio padre è italiano!

Una domanda per Toni Bertorelli che ha il ruolo del critico che deve dare forma ed enfatizzare una leggenda. Cosa ci puoi dire di questa esperienza?

Toni Bertorelli: Affrontare questo personaggio per me è stato un’improvvisazione. Ho improvvisato, ho detto quello che dovevo dire e pare sia andato tutto bene. Cristina mi ha felicemente guidato, mi ha fatto da navigatore in un’astronave di cui non conoscevo i comandi.

Il film uscirà nelle sale giovedì 19 marzo, distribuito da 01 Distribution in circa 300 copie.


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