LE AVVENTURE ACQUATICHE DI STEVE ZISSOU

Wes Anderson è un poeta di nuclei familiari disgregati, di figli alla ricerca di genitori, di padri in cerca di figli. Soprattutto è un poeta delle geometrie incomprensibili del caso, o, per essere più precisi, è un sottile cantore del disperato anelito dell’Uomo verso possibili geometrie (non importa quanto forzose) da sempre occultate nel piano del creato che possano, in qualche modo, dare l’impressione dell’esistenza di un piano, di un disegno unitario tra i segni contradditori di un mondo caotico da sempre perso nel nulla. La ricerca di “un” senso, insomma, che non diventa mai consapevolmente la ricerca “del” Senso perché il regista, da buon filosofo novecentesco, ha ormai definitivamente dimenticato l’utopia romantica di un significato ultimo e immanente cui l’Uomo non deve far altro che conformarsi. E non ha importanza, in fondo, quanto sia provvisorio e ridicolo il fine ultimo che ciascuno dei personaggi messi in scena dal regista si confeziona a propria misura, perché quello che conta è, soprattutto, la storicità stolta con cui finiscono per aggrapparvisi. Di qui il grottesco che si respira in tutti i film di Anderson, di qui quel senso di accorata sfiducia verso “le belle sorti e progressive” che pure paiono tanto allettanti per tutti, ma che sono niente altro che un’illusione tanto cara, ma utile solo a rendere più sopportabile l’assurdità della propria stessa esistenza. E’ questa l’iniziale e più necessaria delle contraddizioni in termini che si devono comprendere per accostarsi alle pellicole del maestro americano: l’urgenza disperata di una struttura sia pure visibilmente grottesca da opporre al vuoto nulla che costituisce la base non base del nostro esistere. Un anelito, quest’ultimo riguarda sia il vissuto dei personaggi (si pensi al bisogno dei personaggi di indossare una divisa unica e riconoscibile, un elemento esteriore necessario a creare l’illusione di un senso di appartenenza e una comunarietà di intenti), sia lo stesso meccanismo drammaturgico che ordisce la messa in scena dei loro divertententemente tragici destini. E quanto più è complessa e articolata la geometria della sceneggiatura e dell’ossatura narrativa, tanto più è forte il bisogno di una logica unitaria, tanto più si palesa l’angoscia della certezza che ogni sforzo di capire il mondo che ci circonda è destinato al fallimento. Perché in effetti anche The life aquatic of Steve Zissou nel suo rincorrere una trama unitaria e quanto più possibile concreta non riesce ad approdare ad altro che ad una gretta quanto divertente accozzaglia di frammenti eterogenei e di personaggi tra loro inconciliabili. Ma si sbaglierebbe a voler considerare questa frammentarietà finale della pellicola come un difetto dell’opera perché essa segna certo il fallimento del regista e dello sceneggiatore, ma non certo la sconfitta dell’artista e del filosofo. Il tutto reso ancora più significativo dalla carica metareferenziale del film che racconta di un autore di documentari che riprende scientificamente la fauna marina mentre è a sua volta ripreso da un autore dallo sguardo ironicamente entomologico. Una discreta lezione di cinema, insomma, quella che ci viene regalata dal regista americano, in un film complessivamente più interessante del precedente I Tennenbaum, ma forse meno necessario di quanto si sarebbe portati a credere. Un film, infine, di opposti temperamenti, di salti di tono bruschi e originali che trova negli interpreti un appoggio necessario con un gruppo di attori su cui spiccano Bill Murray (uno degli interpreti più geniali di queste ultime stagioni) e la coppia/non coppia di Anjelica Huston e Cate Blanchett opposte tra loro anche a livello iconico. Da vedere e rivedere.
(The life aquatic of Steve Zissou); Regia: Wes Anderson; sceneggiatura: Wes Anderson, Noah Baumbach; fotografia: Robert D. Yeoman; montaggio: David Mortitz; musica: Mark Mothersbaugh; interpreti: Bill Murray, Owen Wilson, Jeff Goldblum, Cate Blanchett, Anjelica Huston; produzione: Wes Andreson, Scott Rudin, Barry Mendel; distribuzione: Buena Vista
[marzo 2005]
