X

Su questo sito utilizziamo cookie tecnici e, previo tuo consenso, cookie di profilazione, nostri e di terze parti, per proporti pubblicit‡ in linea con le tue preferenze. Se vuoi saperne di pi˘ o prestare il consenso solo ad alcuni utilizzi clicca qui. Chiudendo questo banner, invece, presti il consenso allíuso di tutti i cookie



Le avventure di Tintin: il segreto dell’Unicorno

Pubblicato il 28 ottobre 2011 da Alessandro Izzi
VOTO:


Le avventure di Tintin: il segreto dell'Unicorno

“Some things are easily lost” dice il maggiordomo del cattivaccio di turno ad un Tintin appena messo alla porta. E la battuta è esattamente lì dove ti aspetti che debba essere.
La dice un personaggio piccolo piccolo, più maschera che ruolo, e tu già sai che è un indizio grosso, proferito da chi si rivelerà essere più importante di quanto non sembri a tutta prima.
In fin dei conti in un racconto giallo, specie se per ragazzi, ci sta che il plot ruoti tutto intorno all’oggetto perduto, all’indizio non da subito compreso, alla tessera del puzzle che non è andata subito al suo posto.
E quasi non ci si fa caso che quel “lost”, piazzato a mo’ di piccolo monito, dice qualcosa di più per il regista di Raiders of the lost Ark e di The lost world: jurassic Park.
In fin dei conti la “perdita” è la cifra segreta, dolente, di tutto il cinema di Spielberg. Ogni sua opera, sia che scavi, novella archeologa, nella Storia, sia che sguazzi nel Mito in cerca di divertissment, si nutre dell’ansia della perdita e cerca nella “memoria” quell’ancora che possa tenerla salda su uno straccio di Senso.
Per questo tutto il cinema di Spileberg è fatto di indizi da decifrare, di lingue da imparare (o re imparare) a parlare, di codici da decriptare, di ricordi da riportare a galla.
E Tintin non è da meno. Solo che ti lavora sul Mito cinema e sull’immagine in movimento (sarebbe meglio dire in corsa) invece che sul ricordo della Storia e sull’orrore dell’oblio. Il che non lo rende necessariamente innocuo.

Tutta la prima parte di Le avventure di Tintin: il segreto dell’Unicorno è una ridda di smarrimenti, una sagra di piccole perdite che si sublima nella geniale metafora del cleptomane che ruba portafogli che vengono poi catalogati con la cura certosina di chi conserva per non perdere. E la cosa ha valore non tanto per il solo fatto che il tutto il film è frutto di una serie di affettuosi furti cinematografici (il concerto replica le situazioni e la costruzione a suspence di L’uomo che sapeva troppo) o addirittura di autocitazioni (gli squali che mangiano i marinai, ogni inseguimento lo avresti visto bene in una puntata di Indiana Jones). No! La cosa ha valore perché se togli i portafogli e ci metti al posto loro le valigie hai, sputato, il ritratto di chi ha pensato la Shoah Foundation ed è consapevole che per salvare un ricordo dall’oblio si deve un poco rubarlo.
Del resto la soluzione all’enigma, Tintin la trova non accostando tra loro le varie tessere del mosaico, ma sovrapponendole e leggendole in filigrana.
Passato e presente non vanno messi uno al fianco dell’altro, ma vanno messi uno sopra l’altro e in questa sovrapposizione necessaria sta tutta la tragedia di una Storia che può ben essere tentata a ripetersi di quando in quando.
Le sovrapposizioni, infatti, si moltiplicano in Tintin e non solo nel gioco delle transizioni tra un’inquadratura e l’altra, ma soprattutto nella reinvenzione dei flashback di Haddock in cui passato e presente stanno uno sull’altro come in uno specchio (e quanto è pieno di superfici riflettenti Tintin!) e, anche se a vederli ti sembrano un film di pirati sopra un omaggio a David Lean, nondimeno ti sorprende che a toccarli sia uno sguardo a modo suo adulto .

Spileberg, da anni ormai, fa solo i film che vuole fare. Quelli di cassetta preferisce produrli soltanto. Sicché quel gusto del far cinema per il Cinema ti porta a perdonargli, anche in Tintin, quel quarto d’ora un po’ di troppo che non allunga un brodo che andava comunque un pizzico ristretto. Del resto il ritmo è eccellente e la tecnica di ripresa non sovrasta mai il lavoro degli attori che indovini ottimo sotto ogni disegno. E la fisicità che traspare sotto ogni maschera non è frutto solo di un 3D giammai invasivo e quasi sempre invisibile, ma anche del lavoro esperto di un cast affiatato su cui spicca il duetto Jamie Bell ed Andy Serkis che replica King Kong anche se i due si erano trovati insieme già ai tempi di Deathwatch. Il tutto condito, come sempre, dalle musiche di John Williams che qui ritrovano il tono scanzonato di Catch me if you can: l’anima vera di un gioco, prima di tutto, del cuore.


CAST & CREDITS

(The Adventures of Tintin: Secret of the Unicorn); Regia: Stevem Spielberg; sceneggiatura: Edgar Wright, Steven Moffat, Joe Cornish; fotografia: Janusz Kaminski; montaggio: Michael Kahn; musica: John Williams; interpreti: Jamie Bell, Andy Serkis, Daniel Craig, Simon Pegg, Nick Frost, Gad Elmaleh, Tony Curran, Mackenzie Crook, Toby Jones, Daniel Mays, Sebastian Roché, Sonje Fortag, Kim Stengel, Joe Starr, Enn Reitel; produzione: Amblin Entertainment, DreamWorks SKG, Herge Studios, The Kennedy/Marshall Company, WingNut Films; distribuzione: Warner; origine: Belgio, Nuova Zelanda, USA 2011; durata: 107’; webinfo: Sito ufficiale


Enregistrer au format PDF