X

Su questo sito utilizziamo cookie tecnici e, previo tuo consenso, cookie di profilazione, nostri e di terze parti, per proporti pubblicit‡ in linea con le tue preferenze. Se vuoi saperne di pi˘ o prestare il consenso solo ad alcuni utilizzi clicca qui. Chiudendo questo banner, invece, presti il consenso allíuso di tutti i cookie



Le confessioni (Conferenza stampa)

Pubblicato il 11 aprile 2016 da Antonio Napolitano


Le confessioni (Conferenza stampa)

Roma, 11 aprile 2016. Si è tenuta stamattina presso il Cinema Barberini la conferenza stampa del film Le confessioni alla presenza del regista Roberto Andò, lo sceneggiatore Angelo Pasquini, i produttori Angelo Barbagallo, Paolo Del Brocco e tra gli attori del cast, Toni Servillo, Pierfrancesco Favino, Connie Nielsen, Marie-Josée Croze e Giulia Andò. Assente giustificato invece Daniel Auteuil, impegnato a teatro a Parigi, che ha comunque inviato il suo saluto tramite un videomessaggio in cui ha speso parole di grande stima e affetto sia per Andò che per Servillo.

Le confessioni è un film molto attuale. Quando avete pensato per la prima volta a questo film?

Roberto Andò: La prima idea risale a due anni e mezzo fa e poi da lì c’è stato un lungo lavoro per arrivare prima al trattamento e poi alla sceneggiatura.

Raccontare il potere dell’economia è stata una sfida non indifferente, un potere di cui in realtà nessuno sa nulla, tutti ignoriamo i reali meccanismi dell’economia.

Roberto Andò: Per quel che mi riguarda, mi sembrava naturale proseguire sulla stessa linea d’onda del passato, raccontando cose che mi inquietano. Con Angelo Pasquini ci siamo trovati ad affrontare questo elemento importante, un tema che ha avuto un cambiamento rispetto al passato. L’economia oggi infatti ha perso sicurezza, non è riuscita a fronteggiare la crisi. Siamo partiti da qui e abbiamo creato una storia mettendo insieme figure incapaci di prendere decisioni, incapaci di assumersi responsabilità. Al loro cospetto abbiamo poi inserito un’altra figura, quello del monaco interpretato da Toni, una figura spiazzante che ci apre la porta e conduce lo spettatore in stanze che non aveva mai visto. Tutto questo fa nascere interrogativi che ci riguardano da vicino.

C’è un debito nei confronti di Sant’Agostino e Le confessioni?

Roberto Andò: Quello di Sant’Agostino è un testo straordinario che parla di interiorità, uno dei capisaldi della cultura occidentale, ma al di là del titolo come riferimento c’è poco. Nel film si parla delle confessioni in altro modo, come strumento per estrapolare, rendere pubblico ciò che gli uomini di potere tendono invece a tenere riservato, nascosto. Sant’Agostino dice cose straordinarie sulla confessione e viene in maniera naturale evocato in almeno due occasioni nel film, con due citazioni del monaco: “La confessione è un grido dell’anima” e “Il tempo è una variabile nell’anima”. Ma è tutto qui.

Favino, lei interpreta un ministro italiano che fa parte del summit del G8. Come ha lavorato sul suo personaggio, si è ispirato a qualche personaggio politico reale?

Pierfrancesco Favino: No, non c’è stato alcun riferimento specifico. Leggendo la sceneggiatura, mi colpiva vedere queste persone di potere, le loro reiterazioni, la loro mancanza di empatia, il distacco che c’è tra corpo e voce. Sono tutte domande che mi sono fatto e sono tutte molto interessanti per un attore, mentre per me è riduttivo fare l’imitazione di qualcuno, ho preferito lavorare sull’origine di quei personaggi. Il ministro che interpreto è una persona che ha un dubbio e l’apertura verso il dubbio è una cosa molto importante soprattutto in un campo in cui tutti sembrano solo avere certezze. Molto importante è il ruolo del monaco che mi ha colpito fin dalla sceneggiatura perché tutti si aprivano davanti a lui. Nel film c’è una presenza della religione in senso ampio, un forte richiamo all’anima.

Nel film oltre a Servillo e Auteuil, gli unici personaggi ad avere un’anima sono quelli femminili, mentre tutti gli altri sono uomini grigi.

Roberto Andò: Abbiamo cercato di cogliere una vasta gamma di sfumature dei luoghi deputati del potere. Non volevamo creare macchiette, ma volevamo personaggi che avessero dubbi, perché il dubbio diventa una necessità per uscire da quella griglia. La scrittrice interpretata da Connie Nielsen è un personaggio importante che ci guida all’interno del film e ci fa vedere meglio il monaco. È l’occhio dello spettatore. Il suo personaggio è comunque ispirato a fatti reali, perché in questi summit capita che vengano invitati anche personalità influenti dello spettacolo, dell’arte che non hanno a che fare direttamente con l’economia, ma che fanno parlare. Come ad esempio è successo anni fa con la presenza di Bono.

Angelo Pasquini: Sì, i ministri sono personaggi grigi, portavoce di un potere esterno. Alcuni di loro hanno dei dubbi, hanno un richiamo della coscienza grazie alla figura del monaco e su questo scenario giganteggiano sia il monaco che il personaggio di Auteuil che rappresenta il vero potere finanziario. Il monaco è una sorta di giocatore e scommettitore che cerca di redimere i potenti e bloccare i loro piani.

Andò, il film sembra essere diviso in due parti, una etica ed un’altra estetica. Come le ha bilanciate?

Roberto Andò: Diceva Brodskij “l’etica nasce dall’estetica”. È stata importante la scelta dell’albergo che abbiamo trovato sul Mar Baltico e che ha una storia molto importante alle spalle; nel recente passato infatti è stato ospitato veramente un G8, mentre durante il periodo delle dittature, sia comuniste che quelle precedenti, veniva utilizzato come ospedale psichiatrico per gli appartenenti al regime. È un albergo in cui si respira sia il senso del lusso che del rifugio e che ha una struttura geometrica molto particolare con un continuo riflettersi dell’esterno nell’interno. Ma io spero che il film non appaia solo come estetico.

Servillo, come ha lavorato lei con il suo personaggio?

Toni Servillo: Per prima cosa, volevo ringraziare Daniel Auteuil per le belle parole che ha avuto verso di me. Daniel è un attore che ammiro profondamente. Viva la libertà era stato il mio ultimo film, perché in questi tre anni ho lavorato molto a teatro. Con Roberto avevamo già tentato di creare un ponte tra realtà e immaginazione che è proseguito in questo secondo film e che è andato addirittura ancor più in profondità con questo personaggio singolare che interpreto. Il monaco è un uomo di fede che ha un credo e che si mostra nel corso del film soprattutto come una persona credibile e noi abbiamo molto bisogno oggi di persone credibili. Non direi che è silenziosamente opportunista, ma oppone ad un mondo di dichiarazioni ufficiali a cui è stato chiamato improvvisamente, una dignitosa renitenza che significa che non dirà mai ciò che non pensa. Quando si viene chiamati a fare un eroe così positivo è eccitante l’idea perchè si mette il pubblico in una posizione un po’ più scomoda. Perché con l’antieroe è facile per lo spettatore poter prendere le distanze dal cattivo di cui non si condividono le azioni, mentre per l’eroe ci si trova di fronte ad una sorta di responsabilità. E tutto questo per me era interessante e mi sono lasciato orientare da questi pensieri. Poi c’è tutto un meccanismo avvincente che è quello di entrare in luoghi in cui non si entra mai e farlo con questo personaggio ancor più singolare. Questo conflitto drammaturgico credo farebbe gola a qualunque attore.

La sceneggiatura anticipa di molto la realtà. Secondo lei, la manovra terrificante di cui si parla nel film è qualcosa che realmente potrebbe accadere?

Roberto Andò: È uno scenario possibile. Qualcosa purtroppo è già accaduto in Grecia e stava per accadere anche a noi in Italia o in Francia che ha un debito enorme. Ma nel nostro caso abbiamo realizzato un film per spingere le persone a riflettere e non un film d’inchiesta.

Ha qualche progetto per la televisione?

Roberto Andò: Sto lavorando ad una serie televisiva con la Rai sulla politica italiana. Spero si riesca a fare.

Quali sono state invece le esperienze delle attrici impegnate in questo film?

Connie Nielsen: Quando ho letto questa sceneggiatura ho voluto assolutamente fare questo film. Amo fare film che parlano di attualità anche come forma catartica delle mie personali frustrazioni. Questo poi è un film molto diverso dagli altri a cui ho lavorato, perché aveva un copione molto profondo. Roberto ha saputo creare un film non polemico, un film che fa scaturire domande esistenziali molto importanti. E infine c’e anche un filone humour su cui mi è piaciuto tanto lavorare per il mio personaggio.

Marie-Josée Croze: Anche io sono stata sedotta dalla sceneggiatura. Avevo amato Viva la libertà e trovo che Roberto fa un cinema vero, con temi difficili e austeri come la politica, ma in grado come pochi di saper coniugare nel cinema cose diverse come politica e poesia. I suoi personaggi possono sembrare buffi, contraddittori, come accade al mio personaggio che ha una sua ingenuità nonostante appaia molto forte. Io amo questi personaggi che non sono troppo scolpiti. È stato bello lavorare in questa sorta di film corale con dei colleghi bravissimi e Roberto è molto aperto a raccogliere suggerimenti per cui per me è stata una grande esperienza formativa.

Giulia Andò: Da quando ho saputo di questa storia, sono stata felicissima di farne parte e per me è stato un vero onore lavorare con questi attori. Inoltre mi è piaciuto tanto anche il mio personaggio. Questa donna che spia il monaco e che durante le riprese ho sempre immaginato come una persona con una propria storia e che a suo modo si affezionava a questo personaggio che osservava costantemente.

Da Viva la libertà a Le confessioni c’è un passaggio dal particolare all’universale. La politica è molto presente nei suoi film e in questo ultimo film viene fatta triangolare in un costante confronto con temi alti quali la religione e l’arte.

Roberto Andò: Molti hanno accostato questo mio film a Todo Modo, un film che trovo bellissimo, profetico. Ma io credo che oggi sia differente rispetto agli anni Settanta. Todo Modo era un film sul mea culpa della Democrazia Cristiana. Oggi è un privilegio poter interrogare la politica in maniera libera e io cerco di farlo in modo meno costrittivo. Comunque non penso di essere l’unico regista ad occuparsi di politica in Italia e, a dir la verità, spero di poter toccare anche altri temi in futuro. A me comunque non interessava fare una predica ma creare un ponte tra realtà e immaginazione e per farlo, è importante interrogare la politica spiazzando le carte, ad esempio utilizzando strumenti sottili del dubbio. L’arte e la religione sono occasioni per interrogare e dare un tono diverso al film.


Enregistrer au format PDF