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LE CONSEGUENZE DELL’AMORE

Pubblicato il 18 settembre 2004 da Fabrizio Croce


LE CONSEGUENZE DELL'AMORE

Spesso la distanza che separa uno sguardo da ciò che vi si cela dietro può fornire chiavi di accesso sconfinate, inattese, sorprendenti per comprendere un individuo oltre il piatto, uniforme concatenarsi delle azioni, che altrimenti rimarrebbero chiuse in una logica occulta. Le conseguenze dell’amore è tutto un viaggio interiore nella terra desolata su cui apre lo sguardo di Titta Di Girolamo, un omino apparentemente grigio, solitario e laconico che vive in un altrettanto grigio albergo svizzero e che sembra essere diventato parte integrante dell’arredamento e delle pareti. Le rare escursioni all’esterno sono infatti rivolte tutte in luoghi altrettanto chiusi e freddi come centri commerciali, ospedali e banche e, per aumentare l’effetto claustrofobico, lo stesso albergo esiste quasi unicamente in due ambienti, la camera di Titta e il bar. Eppure Paolo Sorrentino ci fa sentire che il luogo reale, il campo di battaglia dove si consumano i ricordi e i rimpianti di Titta si trova altrove e va colto nei particolari sfuggenti, nelle immagini rapide e subliminali che si infiltrano nel tessuto di metallica perfezione (il design della macchina di Titta, la musica elettronica e straniante di Pasquale Catalano) e nei suoni che stabiliscono l’unico, autentico legame di quest’omino con ciò che di umano popola il panorama circostante: il rumore dei soldi contati a mano dagli impiegati della banca dove porta a riciclare il denaro della mafia; le parole, intrise di frustrazione e rimorso, degli anziani vicini di camera spiati con uno stetoscopio; la cerniera di un giubbino che si chiude e il saluto di una giovane donna che sarà l’ultima parvenza di desiderio; infine la voce narrante dello stesso Di Girolamo che ci introduce con mestizia tra le piaghe infette della sua psiche e della sua anima. Questo apparato acustico-visivo ha il suo punto fermo, insondabile, arroccato nella figura di Toni Servillo, capace di darci l’idea di una nobile e malinconica grandezza, così come il senso della paura e dello smarrimento di un piccolo uomo davanti alla vita e alla morte. E Sorrentino, a un certo punto, fa credere a Titta che ci sia un punto di fuga, che forse basta alzarsi dall’angolo, attraversare il centro di una stanza, mettersi seduto al bancone di un bar e entrare in comunicazione con una giovane donna. Ma le conseguenze di quel desiderio di fuga comporteranno il disorientamento e la perdita di quell’esistenza che, nell’attimo precedente il definitivo abbandono, concederà a Titta di rivolgere l’ultimo sguardo dentro sé stesso e di rivolgerlo sullo schermo: l’immagine di un amico perduto nel tempo e nello spazio, che ripara i fili dei pali elettrici nel silenzio cosmico delle montagne e che ogni tanto si ferma a pensare nostalgico a un’amicizia mai dimenticata. O almeno così è bello credere mentre si muore.

[settembre 2004]

Regia: Paolo Sorrentino Sceneggiatura: Paolo Sorrentino Fotografia: Luca Bigazzi Musica: Pasquale Catalano Interpreti: Toni Servillo, Olivia Magnani, Adriano Giannini, Raffaele Pisu, Angela Goodwin Produzione: Nicola Giuliano, Francesca Cima, Angelo Curti per Fandango e Indigo Film in collaborazione con Medusa Film Origine: Italia 2004 Distribuzione: Medusa Durata: 100’

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