X

Su questo sito utilizziamo cookie tecnici e, previo tuo consenso, cookie di profilazione, nostri e di terze parti, per proporti pubblicit‡ in linea con le tue preferenze. Se vuoi saperne di pi˘ o prestare il consenso solo ad alcuni utilizzi clicca qui. Chiudendo questo banner, invece, presti il consenso allíuso di tutti i cookie



Le cronache di Narnia: Il leone, la strega e l’armadio

Pubblicato il 24 dicembre 2005 da Alessandro Izzi
VOTO:


Le cronache di Narnia: Il leone, la strega e l'armadio

Le cronache di Narnia segna, per Adamson, un vero e proprio ribaltamento poetico di quanto fino a questo punto sperimentato al cinema. Se Shrek rappresentava, infatti, il trionfo ludico del sovvertimento delle logiche narratologiche classiche della fiaba e lo “shakeramento” virtuale di ogni archetipo narrativo (il tutto frullato nello spazio franco di una sorta di gioco metacinemtaografico in cui la finzione si denuncia sempre come tale mediante un incastro ironico di citazioni e prestiti da tutti i film del passato), quest’ultimo film parte, invece, dalla magnificazione assoluta della struttura fiabesca e dal rispetto quasi religioso di ogni momento topico del più edificante racconto per ragazzi.
Secondo un principio di impostazione del materiale narrativo vecchio come il mondo, il film, insomma, segue i percorsi di un racconto di formazione precisamente cadenzato dove sono posti in bella fila, come in una sorta di virtuale museo delle cere, tutti i personaggi necessari allo svolgimento di un racconto piano denso di senso di avventura e di voli di fantasia: dalla strega malefica e crudele al vecchio saggio, dagli aiutanti inaspettati e buffi (qui fauni e castori) ai bambini protagonisti che vivono l’epica incantata nella scomoda posizione di eroi loro malgrado.
Il regista segue con impressionante dovizia scolastica tutti i dettami della pagina scritta da cui trae ispirazione secondo un modello di filologia iconografica molto simile a quello portato avanti da Peter Jackson per Il Signore degli anelli. A cambiare sono solo le fonti, ma identico è il bisogno di ancorare le proprie visioni allo spazio concreto di un "già visto" abbondantemente riconoscibile e per questo, in fondo, sottilmente rassicurante. Rivivono sullo schermo, quindi, tutte le illustrazioni che avevamo imparato ad amare da bambini: dalla selva di pellicce all’interno dell’armadio incantato, al proverbiale lampione a gas sperduto nella landa innevata di Narnia fino al regale leone che, benchè umanizzato dai maghi degli effetti speciali che hanno lavorato, per il personaggio, su un curioso incrocio geneticamente improbabile tra il possente felino e il volto umano, fa tanto Metro Godwin Mayer.
Da questa ridda di immagini ritornanti del mito collettivo viene fuori un racconto che sfiora tutte le possibili chiavi di lettura già implicite nelle pagine di Lewis senza mai dare l’impressione di prediligerne una sulle altre. In questo modo la lettura cristologica (quella su cui si è dato molto peso in specie nella sempre più bigotta America dove il film viene addirittura proposto dalle parrocchie e dalle chiese quasi si fosse davanti ad una sorta di gibsoniana Passione per bambini) convive pacificamente con una congerie di personaggi e situazioni desunti da un preciso immaginario pagano (driadi, elfi, folletti fauni e quant’altro). Del resto non si deve dimenticare che se è vero che il Leone, nel suo sacrificio estremo con conseguente risurrezione si presta tranquillamente a diventare correlativo narrativo di una precisa realtà cristiana, non da meno Narnia, nel suo ripetere la storia eterna di un possente ciclo stagionale è, più che l’eterna storia della lotta tra il bene e il male, l’infinito ripetersi del racconto del passaggio dall’Inverno alla Primavera.
Tutta la parte iniziale del racconto, nella gelida morsa di un inverno protratto nel corso di un secolo da un arcano e crudele incantesimo, segna, quindi, il punto iniziale di un racconto eternamente rinnovantesi dove i bambini (4 come gli evangelisti, ma anche come i punti cardinali e come le direzioni entro cui l’uomo ha sempre imparato a muoversi ed orientarsi) sono essenzialmente quel raggio di sole che risveglia tutte le energie sopite dei semi apparentemente dormienti sotto il manto di neve. È significativo che Lewis (e Adamson con lui) veda nel passaggio stagionale il segno di una guerra eterna tra principi opposti (la gelida altera figura della strega contro la possente forza del leone che già nella sua criniera mossa dal vento tra i raggi del sole porta impresso il marchio del fuoco). Una guerra che si rinnova ogni anno e ad ogni generazione (come i bambini anche il proprietario dell’armadio visse l’avventura di Narnia) e che ha il senso di necessità di un rito necessario per affacciarsi nel mondo adulto.
Una guerra incontrata e conosciuta proprio nel momento in cui si tenta di fuggire, se non altro con la fantasia, da un’altra guerra ben più dolorosa (sia Tolkien che Lewis scrivono i rispettivi capolavori nel tentativo disperato di evadere dagli orrori del secondo conflitto mondiale).
E forse è proprio in questa considerazione di fondo che possiamo cogliere il motivo del parziale fallimento di un film come Le cronache di Narnia: nel non essere riuscito a cogliere fino in fondo l’orrore della Guerra (cosa che invece era riuscita benissimo a Peter Jackson). In Narnia, che rimane, comunque, uno spettacolo per gli occhi notevole ed affascinante, resta sempre troppo ai margini quel senso della Storia, quella tragedia e quell’orrore della Guerra che avrebbero potuto rendere vive e palpitanti delle figure che private, come sono, del loro motivo generatore, restano alla fine solo immagini inerti di un troppo educato racconto per famiglie.
Alla fine proprio Adamson resta intrappolato da quei meccanismi Disney che tanto aveva irriso nel suo impareggiabile cartone degli esordi. Che a rionfare alla fine, almeno nella vita vera, sia davvero solo la strega dei ghiacci?


CAST & CREDITS

(The Chronicles of Narnia: The Lion, the Witch and the Wardrobe); Regia: Andrew Adamson; sceneggiatura: Ann Peacock, Andrew Adamson, Christopher Markus, Stephen McFeely fotografia: Donald McAlpine; montaggio: Sim Evan-Jones; musiche: Harry Gregson-Williams; interpreti: Georgie Henley, William Moseley, Skandar Keynes, Anna Popplewell, Tilda Swinton, Judy McIntosh, James McAvoy; produzione: Mark Johnson, Cary Granat; distribuzione: Buena Vista; web info: Sito ufficiale, Sito italiano


Enregistrer au format PDF