Le cronache di Narnia - Il principe Caspian

Il leone, la strega e l’armadio aveva segnato, alla sua uscita, la magnificazione cinematografica degli archetipi del racconto favolistico. In quanto puro racconto, il film aveva dovuto pagare, e non avrebbe potuto essere altrimenti, un pesante tributo all’altare delle esemplificazioni più elementari. L’unica cosa che contava davvero, all’interno della pellicola, era il rispetto ad una logica strutturale limpidamente pianificata a tavolino: lo scontro manicheo tra le opposte ragioni del Bene (esemplificato nel segno di fuoco della criniera del leone Aslan) e del Male (raggrumato intorno alla figura mitica della strega dei ghiacci: un segno d’acqua, ma immobilizzato nel tempo, costretto alla stasi del gelo).
Intorno a questo asse narrativo elementare dalla limpida connotazione attanziale (Aslan era il mandante, i quattro fratelli gli eroi, la strega lo strenuo ed irriducibile oppositore) si raggrumavano tutta una serie di simboli di chiara matrice mistico-religiosa. In questo modo l’intero racconto della battaglia contro la dama del gelo diventava allegoria del ripetersi del ciclo delle stagioni, mentre la risurrezione del leone dopo il volontario olocausto diveniva in filigrana una riproposizione del calvario del Cristo riassunto in Cielo dopo aver spaccato la pietra del suo stesso sepolcro.
Ma soprattutto Il leone, la Strega e l’armadio era la storia di un viaggio catartico e di iniziazione: i quattro bambini, partiti dal prosaico mondo della Londra sconvolta dalla Seconda Guerra Mondiale approdavano nel mondo dell’epos e della favola magica e fantastica. In loro si compiva, dunque, un’opera di riappropriazione delle radici mitiche dell’infanzia. Il loro percorso li riconduceva naturalmente alla riscoperta di quel fantastico che l’orrore del tempo storico nel quale vivevano voleva cancellare ad ogni costo.
I fratellini protagonisti dell’epica entravano, quindi, a Narnia (paese della fantasia e dell’incanto) portandosi dietro, come ingombrante bagaglio, il peso dello scetticismo dei ragazzini cresciuti a pane e bombardamenti. Ciò che veniva chiesto loro, in nome della favola, dal messianico Aslan era ricercare l’aspirazione all’irrazionale, era ritrovare il bisogno di credere ancora in Babbo Natale (che non a caso arriva proprio nel momento in cui i bambini sono investiti dal peso della loro missione).
In altre parole i piccoli protagonisti dovevano sciogliere il loro scetticismo nell’incanto narniese, dovevano riportare la favola nei loro cuori induriti dai lutti.
Percorso inverso viene, invece, compiuto ne Il principe Caspian. I quattro pargoli del capitalismo inglese aggredito dalla furia hitleriana (ma nel film la cosa è appena accennata) vengono richiamati in una Narnia di 1300 anni dopo le avventure de Il leone, la strega e l’armadio dal suono di un corno fatato. Il reame è stato invaso dagli uomini che vi si sono stabiliti portandosi dietro il loro connaturato scetticismo. Hanno costruito imponenti costruzioni di pietra e marmo e hanno annientato ogni residuo di magia. I narniesi sono dati per estinti, gli animali hanno disimparato a parlare e sono spinti, ormai, solo dalla fame e gli uomini hanno smesso di temere il buio. Aslan, da parte sua, è scomparso, la strega cattiva trama nell’ombra per tornare in qualche modo e ovunque ora ci sono solo castelli o casupole di paglia.
Ai quattro fratellini non resta, quindi, che tentare di ripristinare la magia in un mondo razionale, riportare l’incanto in una realtà esterna che si è fatta sorda al ricordo delle favole.
A questo percorso narrativamente inverso rispetto a quello esperito nel prototipo corrisponde un nuovo equilibrio tra gli Elementi messi in campo. Se il primo film era dominato dalle logiche dell’Acqua (sia pure ghiacciata) e del Fuoco, qui a farla da padrona è la Terra. Il principe Caspian è un film che si svolge prevalentemente nel sottosuolo, tra ombre gravide di umidità e radici di alberi che hanno disimparato le loro danze celebrative. L’uomo ha portato nel mondo il rituale del razionalismo ed ha squadrato tutto nella pietra. Di più: Il principe Caspian è un film insolitamente notturno e cupo. Si fonda negli intrighi di corte, respira tra le spire dell’inganno e dei delitti nascosti.
Tutti questi elementi se da una parte alleggeriscono l’ordito narrativo (non c’è più bisogno di adeguarsi passivamente agli archetipi della favola dal momento che il tutto si sposta nello spazio più franco del romanzo tout court), dall’altro però appesantiscono una narrazione che non riesce ancora a trovare il giusto equilibrio tra i residui della favola che ancora resistono nell’intreccio e il netto bisogno di raggiungere la maturità del fantasy più puro.
Caspian risulta essere un film insolitamente noioso malgrado le molte scene di battaglia e la sua epica risulta, per lo più, posticcia (la qual cosa era perdonabile il Il leone, la strega e l’armadio che era appunto ancora una favola, ma lo è meno adesso che si è entrati nel territorio romanzesco).
L’avventura vive solo nella piattezza dell’illustrazione mentre il racconto avanza per inerzia sul suo binario obbligato.
Come se ciò non bastasse ci sono poi soluzioni di regia assai poco condivisibili come, ad esempio, il rifiuto di un montaggio alternato tra la scena della sfida tra Peter e Miraz e quella di Lucy che cerca Aslan nel bosco.
Se è da rimarcare una maggiore cura nella confezione degli effetti speciali, nondimeno non possiamo non sottolineare come questi non siano usati nel migliore dei modi. La scena della marcia degli alberi in soccorso delle ormai disfatte truppe dei narniesi (che replica la marcia degli Ent da Il Signore degli anelli a segno dello stretto legame di reciproche influenze intercorse tra Lewis e Tolkien) è brutta da far accapponare la pelle con quelle radici che sfondano il terreno come tentacoli di legno.
Jackson aveva saputo infondere ben altra linfa (è il caso di dirlo) all’analoga scena de Le due torri anche perché aveva saputo creare il giusto equilibrio tra la componente avventurosa e l’autunnale sensazione dell’imminente fine di ogni avventura.
Di questa sensazione non c’è traccia in Narnia se non a parole. Per il resto l’anima Disney trionfa su tutto chiudendo il romanzo nel guscio della favola in un film che rischia di scontentare piccoli e grandi.
(The Chronicles of Narnia: Prince Caspian); Regia: Andrew Adamson; sceneggiatura: Andrew Adamson, Christopher Markus, Stephen McFeely; fotografia: Karl Walter Lindenlaub; montaggio: Sim Evan-Jones; musica: Harry Gregson-Williams; interpreti: Anna Popplewell (Susan Pevensie), William Moseley (Peter Pevensie), Ben Barnes (Principe Caspian), Georgie Henley (Lucy Pevensie), Skandar Keynes (Edmund Pevensie), Sergio Castellitto (Re Miraz), Peter Dinklage (Trumpkin), Warwick Davis (Nikabrik), Pierfrancesco Favino (Generale Glozelle); produzione: Walt Disney Pictures, Walden Media, Stillking Films, Ozumi Films, Silverbell Films; distribuzione: Walt Disney Pictures Italia; origine: USA, Gran Bretagna, 2008; durata: 144’
