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Le divorce

Pubblicato il 19 novembre 2003 da Alessandro Izzi


Le divorce

In fin dei conti da James Ivory non ci si può aspettare altro che un film alla James Ivory: un’opera dall’impianto profondamente letterario, sicuramente raffinata dal punto di vista della pura e semplice messa in immagine, ma sostanzialmente inerte per tutto quel che attiene le dinamiche del linguaggio della macchina da presa e l’uso spregiudicato delle possibilità offerte dal cinema. Ivory non è né vuole essere un innovatore della forma anche laddove, come in questo film, si arrischia in un paio di sequenze che sconfinano in un fantastico assai letterario (la scena della borsetta rossa della protagonista che, lanciata verso la fine del film dall’alto della Tour Eiffel, digitalmente, prende il volo tra i tetti di Parigi), per cui non si può certo accusarlo di limitarsi a muoversi nel solco di una commedia classica, profondamente legata ad un modello di umorismo prettamente verbale e di spirito molto anglosassone. Si può, però, certamente affermare che ormai il suo linguaggio non può non apparire usurato e il suo stile, pur se autorialmente inconfondibile, resta del tutto privo di sorprese per lo spettatore che vi è abituato. Il regista sembra essersi profondamente adagiato in una formula produttiva che ripropone in maniera quasi del tutto identica, di pellicola in pellicola, senza avere più il gusto e la voglia di arrischiarsi in nuovi territori e i film che vengono fuori da questa vera e propria coazione a ripetere, pur nel variare delle storie e delle situazioni, resta ancorato terribilmente alle stesse ossessioni di fondo. Nella descrizione di uno scontro tra culture diverse (in questo caso la raffinettazza francese e il pragmatismo americano) lo sguardo di Ivory, bisogna ammetterlo, in genere eccelle. La visione delle piccole cose, dei problemi grandi e piccoli derivati dalla convivenza tra due mondi per certi aspetti inconciliabili resta uno dei suoi punti forti fin da primissimi film (Camera con vista docet), ma esso resta legato, per lo più, ad una concezione assai letteraria del proprio discorso e coniuga tutta la sua efficacia con il verbo al passato del testo scritto da cui prende ispirazione. Sicchè la scelta del testo letterario da trasporre sullo schermo (perchè praticamente tutte le pellicole del regista, ivi compresa anche quella oggetto ora di esame) resta uno dei centri ideali di tutto il discorso registico dell’autore. Per questo motivo un film di Ivory risulta tanto più riuscito quanto più il testo letterario affronta a modo suo i temi e le ossessioni proprie del regista. E la validità estetica del prodotto finale può essere accuratamente valutata solo se messa in stretta relazione con la pagina scritta. Anche questo Le divorce (titolo significativamente francese per una pellicola che mescola, a livello linguistico, inglese e francese ponendoli in costante urto reciproco) trasuda tra le immagini tutto il peso della parola letteraria, tutto il senso di una sotterranea divisione in capitoli e sottocapitoli di un ideale romanzo di formazione in immagini. Che questo risulti noioso per lo spettatore odierno, abituato ormai a linguaggi ben più cinematici e molto meno letterari, è dato incontrovertibile, come è innegabile che la propensione del regista verso la pura e semplice illustrazione di un testo scritto produca più che dei film dei veri e propri mostri cinematografici. Resta, però, di questo film, una vena ironica leggermente più mordace del solito e uno stuolo di interpreti incredibilmenente azzeccato ed ottimamente diretto (uno dei pregi indubitabili del regista è proprio la direzione degli attori). Per essere un film di ambientazione contemporanea, Le divorce si rivela più riuscito di analoghe puntate del regista sul mondo di oggi (La figlia di un soldato non piange mai). Dipenderà, forse, dal sapore (specie nella fotografia curata) da commedia sofisticata americana anni ’50. Dipenderà, più probabilmente, dal sapore assai fosteriano della storia raccontata.

(Le divorce); regia: James Ivory; sceneggiatura: James Ivory, Ruth Prawer Jhabvala; fotografia: Pierre Lhomme; montaggio: John David Allen; musica: Richard Robbins; interpreti: Kate Hudson, Naomi Watts, Leslie Caron, Glenn Close, Stockard Channing, Sam Waterston; produzione: Ismail Merchant, Michael Schiffer

[novembre 2003]

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