Le streghe son tornate

L’apertura di Le streghe son tornate (ennesimo titolo italiano da rigattiere) è un vertiginoso proclama di intenti.
Un uomo, vestito da Cristo dorato, si appresta a rapinare un banco pegni poco prima che abbia luogo la consegna dell’oro raccolto dell’ultimo periodo alle guardie giurate.
L’uomo fa parte di una banda di persone che non si conoscono tra loro, disperati raccattati in giro tra le strade dell’ordinaria disperazione di questi tempi di crisi. La loro funzione, nel piano complessivo della rapina, è sorvegliare la piazza gremita di persone nella passeggiata dell’ora di punta. Lo fanno fingendosi dei figuranti pubblicitari, ognuno con il proprio improbabile costume.
Così, mentre il Cristo conclude la sua passeggiata nel calvario del disimpegno di un marciapiedi affollato di turisti appoggiando la sua croce sulla vetrina del banco dei pegni, Minnie, Topolino, un uomo invisibile, un soldatino di plastica verde e uno Spongebob che arma un mitra, si apprestano ad assicurarsi che tutto vada bene.
Nel frattempo un bambino, che scopriamo presto essere il figlio dello stesso Cristo, avvisa il padre al cellulare che la cassaforte è aperta e si prepara ad aiutare nella realizzazione del gran colpo.
Figure dell’immaginario, mescolate in un pot-pourri che non separa pop da religione, si preparano a una guerra tra poveri in cui le vere streghe sono quelle che restano fuori scena, nella simpatica sequenza titoli: la Tatcher, la Merkel e le altre più o meno famose potenti che stanno nel meccanismo dell’economia, governandolo.
L’oro, nella forma più tristemente quotidiana delle fedi nuziale impegnate per pochi spicci, è la vera molla dell’intreccio e al tempo stesso un divertito McGuffin. Rappresenta uno scopo sia in senso metaforico (il cardine di una società fondata sull’accumulo) sia letterale (la borsa contenente il malloppo che viene persa e ritrovata continuamente nel corso del racconto), ma è anche il pretesto per mettere in scena il declino di valori della nostra società e la consueta guerra dei sessi che è l’autentica ossessione di tutto il cinema di Álex de la Iglesia.
E anche in questo frangente più domestico il film non risparmia niente e nessuno con la sua caustica ironia: dagli uomini che fanno fronte comune in nome di un’identità virile ma restano confusi e incapaci a costruirsi un autentico futuro, alle donne che, volitive e sessualmente aggressive come è d’obbligo in un contesto stregonesco, non trovano comunque più uno spazio di autoaffermazione.
Le streghe son tornate mette in campo famiglie disfunzionali, conflitti generazionali irrisolti e un disperato bisogno di trovare una propria identità all’interno di un contesto sociale che davvero si è fatto marciapiede per una folla anonima in cui ognuno vorrebbe essere, ma non può perché mancano modelli di riferimento o anche semplicemente un lavoro che sia una una maschera con la quale rapportarci con gli altri e con la nostra immagine allo specchio.
Il tutto senza il ricatto intellettuale del pamphlet, ma in un’opera che è un’autentica ridda di situazioni, un gioco libero e surreale in cui può succedere di tutto perché la fantasia è libera ed è al potere.
Così Le streghe son tornate, che parte dalla rapina al banco pegni per poi immergersi, nel corso della rocambolesca fuga in taxi degli antieroi del racconto, in un gioco sul tema della stregoneria con tanto di sabba infernale, diventa, in corso d’opera, qualcosa di più di un semplice film di genere, ma senza mai perdere di vista le ragioni dello spettacolo.
Divertente e denso di spunti, vorticoso come una corsa sulle montagne russe e spericolato come una corsa di macchine, il film di Álex de la Iglesia è la conferma di un talento surreale e ricco.
Ed è capace, sul finale, di ribaltare la dinamica dell’happy end in un discorso ben altrimenti problematico.
Perché in fondo quella quiete domestica che proprio l’oro può garantire e che resta il modello culturale al quale tutti vorremmo adeguarci è il vero male che non può non divorarci dall’interno. E, quando ci saremo accorti tutti che la casa con giardino, la macchina e i tre telefoni cellulari sono il cancro della nostra finta felicità, allora non ci resterà che tornare a quelle streghe dei boschi che, nel loro grido libertario, sono comunque meno terribili e pericolose delle streghe della finanza e del commercio.
FOTOGALLERY
(Las brujas de Zugarramurdi); Regia: Álex de la Iglesia; sceneggiatura: Álex de la Iglesia, Jorge Guerricaechevarría; fotografia: Kiko de la Rica; montaggio: Pablo Blanco; musica: Joan Valent; interpreti: Javier Botet, Mario Casas, Santiago Segura, Carolina Bang, Carmen Maura, Hugo Silva, Carlos Areces, Secun De La Rosa, Pepón Nieto; produzione: Enrique Cerezo Producciones Cinematográficas S.A., La Ferme! Productions; distribuzione: Officine Ubu; origine: Spagna, Francia, 2013; durata: 104’
