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Lettere da Berlino

Pubblicato il 12 ottobre 2016 da Annalaura Imperiali
VOTO:


Lettere da Berlino

Berlino, 1940.
Nella Germania nazista della Seconda Guerra Mondiale, durante una mattinata qualsiasi in cui la famiglia Quangel si prepara come d’abitudine a svolgere i propri impegni quotidiani, bussa alla porta la postina Eva Kluge (alias Katrin Pollitt) per lasciare nelle mani di Otto una lettera che arriva direttamente dal fronte tedesco in Francia: l’unico figlio della coppia, appena ventenne, è morto in battaglia.
Tra la disperazione di Anna, moglie di Otto e madre di Hans, e la muta sofferenza del padre del ragazzo, nonché personaggio principale della storia, le giornate cominciano a trascorrere con un sapore totalmente diverso. Non più giovanissimi, e quindi con l’idea in testa che intanto “il loro, ormai, l’hanno fatto”, i Quangel non vedono più un vero scopo nella propria esistenza se non quello di screditare profondamente il regime hitleriano, verso il quale lo stesso popolo tedesco già covava rancore e disapprovazione.
E così, iniziando come se fosse un’insolita forma diaristica di sfogo personale, e proseguendo come se si trovasse di fronte alla propria ultima missione di vita, Otto Quangel comincia a scrivere delle cartoline sulle quali, attraverso la calligrafia più neutra possibile, lancia messaggi sovversivi e antinazisti che poi lascia, facendo attenzione a non farsi scoprire, nei palazzi del potere, dove presto iniziano a serpeggiare paura, curiosità e volontà di riflettere sulle conseguenze di un regime in fondo non così condiviso…

Lettere da Berlino è un film che si spacca a metà: se da un lato infatti il soggetto, tratto dal caso letterario Ognuno muore solo di Hans Fallada, che lo stesso Primo Levi definì “il libro più importante che sia mai stato scritto sulla resistenza al nazismo”, è estremamente interessante e nuovo rispetto alle tante opere che sono state prodotte sul macro-tema della Seconda Guerra Mondiale, dall’altro lato la regia e il montaggio peccano di eccessiva e a tratti insostenibile lunghezza. Troppo lunghi sono gli stacchi sugli sguardi di Otto e Anna Quangel nei momenti bui e in un pressoché assoluto silenzio; troppo lunghe sono le sequenze in cui salgono le scale dei grandi palazzi della Berlino nazista per lasciare su un qualsiasi gradino le proprie cartoline al fine di farle trovare e leggere da chicchessia; troppo lunghi sono i momenti riflessivi del film che, per quanto la trama sicuramente preveda dei tempi dilatati, non aiutano lo spettatore, specie perché non adeguatamente supportate da una sceneggiatura abbastanza accattivante da tener sempre desta l’attenzione.

D’altro canto, però, non si può non dire che meritano sicuramente molto le interpretazioni degli attori principali: dalla bravissima Emma Thompson (alias Anna Quangel), vincitrice di plurimi riconoscimenti internazionali tra cui il Premio Oscar nel 1993, come Migliore Attrice Protagonista, per Casa Howard di James Ivory, all’altrettanto in gamba Daniel Brühl, di cui avevamo già avuto modo di apprezzare le capacità nel ruolo di Niki Lauda all’interno del recente Rush di Ron Howard, il cast di Lettere da Berlino si colora di star sfavillanti nonostante il voluto grigiore della storia che racchiude.
E questo, indubbiamente, merita in ogni caso il costo del biglietto al cinema.


CAST & CREDITS

(Alone in Berlin) - Regia: Vincent Perez; Soggetto: Hans Fallada, dal libro Ognuno muore solo; Sceneggiatura: Achim Von Borries, Bettine von Borries, Vincent Perez; Fotografia: Christophe Beaucarne; Montaggio: François Gédigier; Musiche: Alexandre Desplat; Scenografia: Jean-Vincent Puzos; Costumi: Nicole Fischnaller; Interpreti: Brendan Gleeson (Otto Quangel), Emma Thompson (Anna Quangel), Daniel Bruehl (Ispettore Escherich), Uwe Preuss (Persicke), Lars Rudolph (Enno Kluge); Produzione: X-Filme Creative Pool, FilmWave, Master Movies; Distribuzione: Videa; Origine: Gran Bretagna/Francia/Germania, 2016; Durata: 103’


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