Lev
Roma, Teatro Palladium - Voci dallo spazio che torneranno mai più.
Voci nella mente da un mondo che non c’è.
Tre lettere a fondamento della vita: L-e-v.
E’ una sinfonia di epopee passate e mondi ritrovati ciò che nasce dall’assenza che permea Lev , spettacolo della giovanissima compagnia Muta Imago , inserito nel progetto ZTL-pro e andato in scena al Teatro Palladium di Roma. Un’assenza feconda –se mai un ossimoro del genere è possibile...- , feconda di spunti, bivi, ricordi, Storia. E che ha come afelio e perielio l’infinitamente piccolo e l’infinitamente grande: il nostro cervello e lo spazio profondo.
La genesi -e unico appiglio solido, cosciente, che abbiamo- è una data, un nome ed un evento: il 2 marzo 1943, il soldato russo Lev Zasetskij viene colpito da una scheggia che gli perfora il cranio, <<con danno massivo alla regione occipito-parietale sinistra del cervello>>. Il giovane non paga con la morte il suo tributo alla Seconda Grande Guerra: troppo semplice, troppo ordinario. Ciò che lo aspetterà sarà un trentennale Oblio che alla fine lo annullerà. Lev non è più un essere umano completo: la sua memoria è completamente perduta, la sua percezione è totalmente destrutturata; è incapace di leggere e scrivere, di riconoscere gli arti del suo corpo, perfino di sapere dove siano; fatica a prestare attenzione ad ogni elemento che entri nella sua sfera emotiva, dimenticandolo nel giro di pochi minuti. Come unica sua fortezza si erge soltanto un altro essere umano: il neuropsichiatra Aleksandr Lurija, che lo seguirà incessantemente per trenta lunghi, ineffabili, anni. L’epigrafe a questa incredibile esistenza diviene il libro Un mondo perduto e ritrovato , composto in massima parte dal diario giornaliero redatto con grande dolore, fisico ed intellettuale, da Lev stesso.
Muta Imago parte dal materico, dal contingente, per offrirci l’Oblio di Lev: uno spazio di diciotto metri quadri, cento chili di farina, tre lampade al soffitto, tre lastre di plexiglass. Una perfetta macchina visivo-emozionale creata a partire da un elemento primo, una simbolica sabbia, di cui sono fatti, e da cui vengono sporcati, intaccati, gli oggetti, il corpo e la memoria di Lev, la vicenda stessa...
L’assenza diviene personaggio, titano contro cui combattere per riacquistare un volto amato o riavere una parola di cui non si rimembra il dolce suono; diviene quinto Cavaliere dell’Apocalisse, Oblio. E contro di lui lotta il piccolo soldato, la cui mappa esistenziale è ancorata a dei semplici, indifferenti, oggetti, e alla voce ossessivamente indagatrice di un extra-diegetico Lurija. Claudia Sorace inscrive Lev dentro l’Oblio stesso, conscia come è che l’unico rapporto che il giovane soldato ha con il mondo, con l’esistenza, si attua attraverso una continua dialettica tra campo e fuori campo, in un’incessante ri-modulazione di concetti, enti, tempo e spazio. L’assunto parmenideo dell’essere e del non-essere viene qui sbriciolato dalla presenza stessa di Lev: in lui l’essere non è altro che contingenza, momento fattuale, che converge, collidendo, verso il vicino non-essere. Lev è l’esemplificazione carnale di quel principio di base della meccanica quantistica che dice che una palla non è rossa finché noi non la guardiamo: il mondo, per Lev, non è finché lui non è... Forse indulgendo troppo sulla nuda poesia che è stata la (nuova)vita di Lev, possiamo affermare che il giovane soldato russo divenne, in ultimo, immortale, sganciato come era da ogni tempo, spazio, concetto, essendo puro e indecifrabile essere...
Capace di sconfiggere questa parvenza di immortalità è soltanto l’arte. Ecco quindi Lev redigere giorno dopo giorno un diario senza sapere alcunché del mondo o di se, ecco dunque Lev trasformare la sabbia in un’esatta immagine dell’amata... L’adamantina barriera emotivo-emozionale che ha protetto il soldato russo per trenta anni diviene la complessa aurea attorno cui Massimo Troncanetti, Lorenzo Letizia e Riccardo Fazi costruiscono la cifra dello spettacolo, realizzando scena, video e suoni che nascono direttamente dalla mente di Lev, a cui si alterna la voce-off di Lurija, la cui puntuale intrusione veicola con sé infiniti mondi straripanti di storie, di Storia. La lotta di Lev viene affiancata dal contrappunto sonoro del mondo esterno, costituito dalle radio-cronache della corsa allo spazio. Un correlativo oggettivo si instaura nella vicenda: il cosmonauta Lev si specchia nel cosmonauta russo che perisce atrocemente nei voli delle Sojuz, che passeggia per primo nel vuoto, che vede la Terra nascere dal buio, plasmando un inquietante Doppelgänger che sposta ogni prospettiva di senso. La disumana ricerca di Lev non è, infine, la rifrazione della conquista dello spazio profondo da parte dell’uomo? Quale è, e chi può indicare, la differenza che intercorre tra le remote regioni della nostra mente e gli angoli più bui dell’universo? Cartesio, con brevi ragionamenti deduttivi, non ha forse dimostrato l’esistenza di Dio? Lo scarto, lo iato di senso trasportato ai limiti dell’abisso da parte di Muta Imago visualizza tali vertigini. E, paradossalmente, l’elemento che permette ciò è un minuscolo granello di sabbia, antico modo per segnare, e fermare, il tempo e il mondo.
Ideazione: Glen Blackhall, Riccardo Fazi, Claudia Sorace, Massimo Troncanetti Regia: Claudia Sorace Drammaturgia e Suono: Riccardo Fazi Scena: Massimo Troncanetti Vestiti: Fiamma Benvignati Video: Lorenzo Letizia Con: Glen Blackhall Produzione: ZTL-pro/Santasangre - Kollatino Underground In collaborazione con: Kilowatt Festival Web Info: Teatro Palladium, Muta Imago, ZTL-pro, Santasangre, Kollatino Underground, Kilowatt Festival